Tutte le mamme che sono stanche di offrire alle proprie figlie i classici giochi divisi per genere, in particolare quelli per bambine, possono sostenere una campagna che dall’America invita a boicottare le stucchevoli forme di prodotti rivolti esclusivamente al genere femminile
di Paola Bisconti
Nel 2008 in America è nata PinkStink, una campagna di boicottaggio contro i giochi che presentano degli stereotipi di genere. L’iniziativa è una sorta di guerra al rosa, nel senso che critica tutti quei prodotti rivolti alle bambine e alle ragazzine adolescenti, che sono attratte non solo dal colore che per antonomasia è associato al genere femminile, ma anche dal significato che esprimono: i giocattoli, infatti, invitano le fanciulle a calarsi nel ruolo di piccole donne alle prese con l’ossessione dello shopping, del make-up (molte iniziano a truccarsi anche prima di aver compiuto 10 anni) oppure imitano fate e principesse sopraffatte dalla smaniosa voglia di trovare un “principe azzurro” bello e ricco. Abi Moore, amministratrice di una società di assistenza all’infanzia, e sua sorella Emma, ex giornalista della Cnn, sono le ideatrici della campagna nonché le fondatrici della medesima associazione. Le sorelle Moore sono convinte che la gran parte dei giocattoli propinati alle bambine lancino un messaggio sessista e negativo. È importante comunicare alle bambine che esiste più di un modo di vivere l’infanzia e l’adolescenza, non soltanto calandosi in ruoli già preconfezionati dalla società in una logica decisamente limitante e condizionante.
Abi ed Emma promuovono la loro battaglia (sostenuta in 40 paesi del mondo) con il motto “Io non sono una principessa”, mettendo così in atto un’opera di sensibilizzazione rivolta soprattutto ai genitori e agli educatori. In Gran Bretagna infatti Bridget Prentice, il sottosegretario della giustizia, appoggia fortemente questa campagna che intende reprimere una serie di giochi divisi per genere come le penne rosa, gli ovetti con la sorpresa di color rosa, i lego per bambine, profumi di fragola o ciliegia, rossetti, musichette con voci squillanti, il glitter, le paillettess, i brillantini, eccetera. La gran parte di questi oggetti nasce da una strategia di marketing che attira particolarmente il consumatore e si basa su pubblicità accattivanti e convincenti; contro di essa si sono battuti anche dei gruppi francesi che nel 2001 hanno promosso un’altra campagna, con l’obiettivo di “aprire agli occhi” di fronte ad un problema da non sottovalutare. Gli attivisti hanno invitato a boicottare questo tipo di giocattoli soprattutto nel periodo natalizio dove si concentrano i consumi. Anche nelle scuole torinesi sono stati avviati dei progetti che mirano a rimuovere le discriminazioni di genere nell’educazione, inoltre a Bologna l’Associazione Comunicattive ha stilato “Gioca Jouer”, una vera e propria guida pratica scaricabile da Internet che aiuta a distinguere gli oggetti sessisti e a non acquistarli.
di Paola Bisconti
Nel 2008 in America è nata PinkStink, una campagna di boicottaggio contro i giochi che presentano degli stereotipi di genere. L’iniziativa è una sorta di guerra al rosa, nel senso che critica tutti quei prodotti rivolti alle bambine e alle ragazzine adolescenti, che sono attratte non solo dal colore che per antonomasia è associato al genere femminile, ma anche dal significato che esprimono: i giocattoli, infatti, invitano le fanciulle a calarsi nel ruolo di piccole donne alle prese con l’ossessione dello shopping, del make-up (molte iniziano a truccarsi anche prima di aver compiuto 10 anni) oppure imitano fate e principesse sopraffatte dalla smaniosa voglia di trovare un “principe azzurro” bello e ricco. Abi Moore, amministratrice di una società di assistenza all’infanzia, e sua sorella Emma, ex giornalista della Cnn, sono le ideatrici della campagna nonché le fondatrici della medesima associazione. Le sorelle Moore sono convinte che la gran parte dei giocattoli propinati alle bambine lancino un messaggio sessista e negativo. È importante comunicare alle bambine che esiste più di un modo di vivere l’infanzia e l’adolescenza, non soltanto calandosi in ruoli già preconfezionati dalla società in una logica decisamente limitante e condizionante.
Abi ed Emma promuovono la loro battaglia (sostenuta in 40 paesi del mondo) con il motto “Io non sono una principessa”, mettendo così in atto un’opera di sensibilizzazione rivolta soprattutto ai genitori e agli educatori. In Gran Bretagna infatti Bridget Prentice, il sottosegretario della giustizia, appoggia fortemente questa campagna che intende reprimere una serie di giochi divisi per genere come le penne rosa, gli ovetti con la sorpresa di color rosa, i lego per bambine, profumi di fragola o ciliegia, rossetti, musichette con voci squillanti, il glitter, le paillettess, i brillantini, eccetera. La gran parte di questi oggetti nasce da una strategia di marketing che attira particolarmente il consumatore e si basa su pubblicità accattivanti e convincenti; contro di essa si sono battuti anche dei gruppi francesi che nel 2001 hanno promosso un’altra campagna, con l’obiettivo di “aprire agli occhi” di fronte ad un problema da non sottovalutare. Gli attivisti hanno invitato a boicottare questo tipo di giocattoli soprattutto nel periodo natalizio dove si concentrano i consumi. Anche nelle scuole torinesi sono stati avviati dei progetti che mirano a rimuovere le discriminazioni di genere nell’educazione, inoltre a Bologna l’Associazione Comunicattive ha stilato “Gioca Jouer”, una vera e propria guida pratica scaricabile da Internet che aiuta a distinguere gli oggetti sessisti e a non acquistarli.
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