martedì, gennaio 24, 2012
900 metri di barriere d'altura lungo tutto il perimetro della nave Concordia e panne costiere ancorate alle rocce per fare da argine a un eventuale inquinamento a protezione delle calette vicine alla nave. Con questa cintura, si sta cercando di prevenire una possibile fuoriuscita di 2300 tonnellate di olio e carburante, per il momento al sicuro nei 21 serbatoi.

di Gabriele Salari

La Concordia è in equilibrio precario su un gradino al di là del quale c'é una scarpata di 90 metri: in caso di sversamento dell’intero contenuto, secondo Greenpeace, la rovina sarebbe otto volte più grave della perdita del portacontainer greco Rena, incagliatosi a ottobre in Nuova Zelanda, che ha ucciso circa 20 mila uccelli marini e inquinato decine di chilometri di costa.
L’Arcipelago Toscano, oltre a essere parco nazionale, è parte del Santuario dei Cetacei, un'area marina protetta istituita da Italia, Francia e Principato di Monaco, dove però nessuno ha voluto regolamentare il traffico navale.
Il Consiglio dei ministri ha annunciato lo stato di emergenza per l'area interessata.
Oltre al carburante, l’impatto ambientale del naufragio conta anche tonnellate di altre sostanze pericolose come lubrificanti, vernici e sostanze clorurate, nonché gli oggetti degli oltre 4.000 passeggeri, tra cui le batterie di telefoni e fotocamere.
Ora va recuperato il carburante, poi andrà recuperato il relitto. A questa prima fase stanno lavorando i tecnici olandesi della Smit, la società specializzata di Rotterdam, che sono al lavoro sul relitto della Costa Concordia e prevedono almeno alcune settimane, mare permettendo.
Il naufragio del Giglio indica che occorre attenzione in particolare al cosiddetto doppio bunker per i serbatoi delle navi da crociera che potenzialmente possono creare elevate criticità ambientali per le grandi quantità di combustibile trasportate.
Insiste sull’urgenza l'oceanografo Marco Marcelli, professore di Ecologia marina all’Accademia Navale di Livorno, intervistato da 'Marescienza.it': “Prima si fa e meglio è. Un buon risultato sarebbe riuscire a rimuovere il relitto entro la primavera. Ci sono due ordini di rischi: un primo, relativo al carburante, per il quale è stato predisposto già un piano d’intervento dal Ministero dell’Ambiente, il che però non impedirà a una parte degli oli di penetrare nella catena alimentare con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. E poi c’è il danno all’ambiente marino: tanto per fare un esempio, l’ombra prodotta da una nave di quasi 300 metri per 35 ettari ha grande influenza su specie che hanno bisogno di luce. Secondo uno studio pubblicato da un gruppo di economisti su Nature, la Posidonia oceanica che qui vive è uno dei tre sistemi naturali con maggiore valore al mondo. Vanno valutati i concetti di “sensibilità ambientale” e di uso della zona di mare: balneazione, pesca, turismo. Un conto è dunque la messa in sicurezza, un conto è il danno al sistema per l’impatto sul fondale e la permanenza del relitto”.
Naufragi come quelli del Giglio si eviterebbero non solo se le navi rispettassero alcune aree sensibili, come chiesto ora dal Ministero dell'Ambiente, ma anche se ci fosse più attenzione alla protezione del mare. “Il nuovo sindaco dell'isola ha fondato la propria campagna elettorale contro l’ampliamento dell’area marina protetta al Giglio - commenta il Wwf - Un’area marina protetta impone regole che sono sempre rispettose delle esigenze locali ma che prevengono forme di fruizione impattanti e impongono fasce di rispetto. L’area marina sarebbe stata evidenziata sulle carte nautiche e segnalata con apposite boe ed è quindi pensabile che in questo caso avrebbe costituito un elemento in più per prevenire quanto accaduto”.

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