Il prestigioso filosofo Rémi Brague, specialista in filosofia greca, medievale araba ed ebraica e docente presso la Sorbona di Parigi e la Ludwig Maximilian University di Monaco, ha scritto un articolo sul Cortile dei Gentili, l’iniziativa voluta dalla Chiesa per il dialogo con i non credenti (www.cortiledeigentili.com).
Uccr - Il filosofo si è soffermato molto sul cristianesimo e il suo ruolo nel mondo e nella storia, il quale ha «la particolarità notevole di essere una religione che è solo una religione. Le altre religioni sono delle religioni e ogni volta qualcos’altro. Il buddismo, se è una religione – e alcuni preferiscono evitare il termine -, è una religione e una forma di saggezza, lo shintoismo è una religione e un legittimismo, il giudaismo è una religione e un popolo, l’islam è una religione e una legge. Il cristianesimo non è una legge. Nel cristianesimo, è netta la distinzione fra norme da una parte e religione dall’altra. Molto meno nelle altre religioni».
Non vi è un diritto cristiano, commenta Brague, «vi sono cristiani che producono del diritto e che cercano d’introdurvi il massimo di giustizia. Anche la cosiddetta “morale cristiana” non ha nulla di specificamente cristiano. Essa non è il folclore di una nazione particolare: è la morale comune». Il diritto romano, continua, «non è stato modificato profondamente dal cristianesimo. Quest’ultimo ha solo adattato certe disposizioni legali che urtavano i cristiani, i quali [...] apportavano uno sguardo più acuto per discernere l’umanità laddove fino ad allora si faticava a scorgerla: nel bambino, nella donna, nello schiavo, nel barbaro, cioè il non greco (dal punto di vista dei Greci), nel “pagano” (dal punto di vista degli Ebrei)».
In questa pagina abbiamo elencato altre opinioni di importanti pensatori sul fondamentale contributo che ebbe il cristianesimo nell’affermazione della dignità di donne e bambini. Continua: «possiamo avere opinioni diverse sul modo in cui la Chiesa difende certe realtà incapaci di far valere da sole la loro umanità», come l’uomo all’inizio della vita (embrione e feto) o alla sua fine, ma -continua l’intellettuale- «è comunque importante comprendere che i cristiani di oggi non pretendono di fare nient’altro rispetto a quanto fecero i primi fra loro: rastrellare ciò che è umano in modo tanto esteso da essere sicuri di non lasciare nulla al di fuori».
Dopo aver riflettuto molto acutamente sul diritto naturale, conclude soffermandosi in modo molto interessante sui non credenti e sul ruolo della coscienza come «la voce di Dio in noi. Ascoltarla significa l’approdo del regno di Dio in una parte del mondo non molto grande, ma che ha il vantaggio di dipendere da noi, cioè noi stessi [...]. E la coscienza parla pure, anzi talora più chiaramente, ad alcuni di coloro che non conoscono o non vogliono conoscere Dio. Perché? Mi piacerebbe rispondere formulando in proposito una regola: Dio non persegue mai il proprio tornaconto, neppure un proprio tornaconto simbolico, la gloria. Ricerca l’interesse delle sue creature. In particolare, non cerca di farsi conoscere per essere applaudito da una claque. Il Dio dei cristiani si fa conoscere unicamente quando ciò è necessario per la salvezza della sua creazione. Non c’è bisogno d’identificarlo come tale. Questo Dio agisce in tal modo secondo le regole della più elementare e forte cortesia umana. Se in una strada uno sconosciuto ci chiede il cammino, noi glielo indichiamo, senza sentire per questo il bisogno di presentarci». Così «per chi si crede capace di cavarsela da solo e rifiuta la Rivelazione, resta tutto il campo nel quale Dio, benché altrettanto presente, non ha bisogno di manifestarsi esplicitamente. Tutto il campo della ragione, dunque. Tutto ciò che è “davanti l’ingresso del Tempio”, tutto ciò che è – come vuole l’etimologia di quest’aggettivo – profano. Il Cortile dei gentili consiste proprio in questo».
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