Si è svolta questa mattina a Torino, nella chiesa della Piccola Casa della Divina Provvidenza, la cerimonia di Beatificazione del “piccolo prete del Cottolengo”, come veniva chiamato affettuosamente in vita don Francesco Paleari, il primo sacerdote dell’opera a essere elevato alla gloria degli altari dopo il fondatore, San Giuseppe. La celebrazione è stata presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
RadioVaticana - La dolcezza di San Francesco di Sales, l’umiltà di San Francesco d’Assisi e lo spirito missionario di San Francesco Saverio: caratteristiche di tre “grandi” che riuniva tutte in sé, questo sacerdote della Congregazione dei preti della Santissima Trinità che si chiamava, come loro, Francesco. Era don Franceschino per chi lo conosceva, a causa del suo fisico minuto, cui corrispondevano, però, la fede e la virtù di un gigante, come ricorda al microfono di Roberto Piermarini il cardinale Angelo Amato: “Era straordinario, come si dice, nell’ordinario, ma in lui questa affermazione non è banale. Le virtù furono da lui praticate in modo così costante e puntuale da diventare una seconda natura”.
Don Francesco Paleari fu un grande dono per la diocesi di Torino, che gli affidò incarichi sempre nuovi: fu confessore e direttore spirituale del seminario diocesano e predicatore di esercizi spirituali al clero, alle religiose e ai laici, poi provicario generale e vicario per la Vita consacrata. Lui, però, era originario della provincia milanese, nato nel 1863 a Pogliano, da dove partì giovanissimo per rispondere alla chiamata del Signore. Era soprannominato “il prete che sorride” per quel suo viso indimenticabile e quel sorriso aperto che conquistava tutti, un sorriso dell’anima che spalancava i cuori dei fedeli ed era capace di far sentire chiunque vicino a Dio, anche i poveri e i sofferenti accanto ai quali trascorse tutta la vita. “Signore, insegnami a essere furbo”, era la sua preghiera preferita, e per lui “furbo” voleva dire consapevole che tutto ciò che è terreno passa, mentre eterno è solo il Paradiso, cui si deve aspirare senza calcoli e senza perdersi di coraggio. Una fede incrollabile, la sua, sottolineata anche dal cardinale Amato:
“Spirito di preghiera, fervore eucaristico e pietà mariana furono le coordinate della sua santificazione. Da questo spirito di fede, ovviamente, si originava anche la sua eroica carità verso Dio e verso il prossimo, che erano come due fiamme che si sprigionavano dal suo cuore: l’una saliva verso Dio, l’altra si piegava verso il prossimo”.
Il prossimo di don Francesco erano i poveri, gli ammalati, i disabili e i bambini con difficoltà che accudiva con infinita pazienza nella Piccola Casa. Questo grande amore per gli “ultimi” lo aveva respirato fin da piccolo, vivendo in una famiglia dove spesso si faceva fatica a mettere insieme il pranzo e la cena, ma che la domenica accoglieva sempre un povero alla propria tavola, perché non si può ricevere Gesù senza spalancare la porta ai poveri.
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“Spirito di preghiera, fervore eucaristico e pietà mariana furono le coordinate della sua santificazione. Da questo spirito di fede, ovviamente, si originava anche la sua eroica carità verso Dio e verso il prossimo, che erano come due fiamme che si sprigionavano dal suo cuore: l’una saliva verso Dio, l’altra si piegava verso il prossimo”.
Il prossimo di don Francesco erano i poveri, gli ammalati, i disabili e i bambini con difficoltà che accudiva con infinita pazienza nella Piccola Casa. Questo grande amore per gli “ultimi” lo aveva respirato fin da piccolo, vivendo in una famiglia dove spesso si faceva fatica a mettere insieme il pranzo e la cena, ma che la domenica accoglieva sempre un povero alla propria tavola, perché non si può ricevere Gesù senza spalancare la porta ai poveri.
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