Il nostro redattore Stefano Buso ci parla del film diretto da Jan Mikael Håfström
"Il Rito" del regista Jan Mikael Håfström è una chance per chi è attratto dalla demonologia e dal rituale dell’esorcismo, temi che si ergono tra fede, ragione e realtà. Questo genere cinematografico è stato in qualche caso estremizzato a causa di trame troppo esasperate. Un filone che a torto qualcuno ha bollato velocemente come horror. Ad aprire le danze fu “L’Esorcista” del 1973, diretto dall’ottimo William Friedkin, un film che nonostante gli anni e le limitazioni scenografiche dell’epoca desta ancora fascino. Prima di parlare de “Il Rito di Håfström” è congruo abbozzare un’analisi sull’esorcismo e sul perché affascina la mente umana. Va detto che la Chiesa è cauta su queste tematiche, e talvolta la sua discrezionalità è interpretata a torto come reticenza. Nei fatti si sappia che parecchi religiosi dedicano anni di studio nella lotta contro il male. Male raffigurato nell’iconografia popolare con sembianze caprine o d’animali orripilanti. In realtà la cosa è più sottile, e non si presta a sterili banalizzazioni. Ecco perché diventa impegnativo realizzare una pellicola tematica senza scadere nell’ovvietà o nel déjà vu. E stavolta il film in oggetto si distingue per originalità creativa e sceneggiatura convincente.Prima di avventurarsi nell’opera, va affermato che la tenzone tra bene e male è presente in ogni essere umano. L’uomo detiene in sé principi giusti che si fortificano con il dono delle fede, e la stessa fede trae maggior equilibrio dalla ragione. Ma proprio quest’ultima (talvolta) mina il credo, a tal punto che dubbi e incessanti domande fanno vacillare la convinzione iniziale. In questi momenti di debolezza il male (come forza) sferra le sue armi migliori, assettato com’è di potere e vittoria. Questo è un contrasto che avviene ab illo tempore, e probabilmente non avrà termine. C’è chi riesce a superare in modo autonomo queste vicissitudini, altri, più sensibili, sono preda di angosce che li rendono espugnabili dall’essenza negativa. Nel concreto la ragione non è quasi mai arbitro insindacabile degli eventi, come del resto non lo sono le certezze assolute o le spiegazioni “logiche” che qualcuno dispensa per sedare l’umanità. E comunque il rapporto tra uomo e Dio non è quasi mai in discesa, anzi. È spesso sottoposto a prove impervie che solo una ferrea convinzione riesce a sconfiggere.
Ritornando a “Il Rito”, sono esplicite alcune impronte, come la capitolazione delle certezze e del razionale (il sapere) dinnanzi a eventi inspiegabili. Nella pellicola il seminarista Michael Kovak è mandato a comprendere l'esorcismo in Vaticano, anche se è uomo fragile con dubbi e tentennamenti sulla fede. Kovak, ostentando le sue perplessità, arriva ad innescare una situazione conflittuale con Padre Lucas, che invece ha vissuto sulla propria pelle esorcismi ed esperienze non spiegabili dalla scienza tradizionale. Lo scontro tra i due è inevitabile sino ad arrivare “al contatto” con il male dove lo scettico Kovak è costretto a seppellire una volta per tutte il suo scetticismo.
Lo spettatore che si attende un film intriso di effetti surreali potrebbe rimanere leggermente deluso. In realtà, la regia persegue la linea del pragmatismo proprio per non cedere ad una rappresentazione lambiccata. Una scelta sicuramente valida, di elevato spessore, che elargisce un’angolazione veridica su tematiche cavillose quali la possessione, il demonio et similia. Stimolante la performance di Anthony Hopkins che interpreta magistralmente la parte di un sacerdote in perenne lotta con le forze dell’oscurità, in duello che lo vede talvolta vincitore e altre volte sconfitto. Una visione piacevole sin dall’inizio, che non cerca né di stupire né di convincere gli increduli ma unicamente di offrir cronaca su uno dei tanti aspetti ignoti della nostra esistenza.
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