giovedì, febbraio 10, 2011
Un apologo ci aiuta a capire quanto sia difficile vivere senza... 

di Luigi Ferrara Mirenzi
Piùvoce - L’indimenticabile economista Giuseppe Di Nardi, maestro non solo di scienza, nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, nel corso d’edificanti colloqui sulla difficoltà di comprendere il vivere politico di allora, con particolare riferimento all’operato delle istituzioni democratiche, soleva ripetermi un apologo che, se non erro, attribuiva a Thomas More. In verità, pur conoscendo non poco del grande Santo, non a caso posto dalla Chiesa a protezione dei politici, anche perché non perdano mai il sense of humour, da noi forse più efficace come senso del ridicolo, non sono riuscito a trovare conferma, grato sempre a chi voglia illuminarmi. Apologo in ogni caso eloquente. In una mia libera interpretazione, lo riporto di seguito. Una società primitiva vive felice in una sorta di paradiso terrestre, per clima, frutti copiosi della terra, sicurezza e quanto di bello si può aggiungere.
Non ha bisogno di case per ripararsi. Ognuno ha i suoi spazi riservati in angoli deliziosi della natura. Ruscelli in abbondanza, tante piccole cascate, delizia dei bambini, per rinfrescarsi, lavarsi, bere. Giacigli comodi, con strati d’erbe particolari emananti tenui profumi, per riposare, abbandonandosi al sonno, cullati dal canto notturno d’animali amici, e riaprendo gli occhi, dopo l’alba, con quello delizioso degli uccelli. Un giorno i saggi prevedono l`arrivo, nel primo pomeriggio, di un’insolita pioggia capace di far impazzire tutti per un tempo indeterminato. Che cosa fare? Dove rifugiarsi? Comunicarne alla comunità? Non ci sono spazi coperti per metterla al riparo. Solo una piccola grotta per una ventina di persone. Vanno in disparte per decidere qualcosa d’utile e di possibile, mentre minacciose nubi appaiono all’orizzonte lontano. Il più anziano dei saggi invita a non turbare la serenità generale e rileva che la grotta é più che sufficiente per contenere il loro gruppo composto di sedici persone. Passata la pioggia, loro, depositari di memoria storica e saggezza, con tutta calma si potranno dedicare alla ripresa complessiva della normalità, con una sorta di catena costituita dall’impegno dei recuperati che, gradualmente, potenzia quello dei saggi. Convinti e fiduciosi, approvano unanimi la proposta. Viene la pioggia. La comunità intera gioca come sempre con l`acqua che viene dal cielo e fa il verso, con canti gioiosi, a tuoni e a lampi, come s’usa da generazioni. Trascorsa mezz’ora, non s’ascolta per un bel po’ il martellare della pioggia sulle piante e la distanza, tra fragore attutito di fulmini e suono di tuoni, si fa sempre più ampia. Il più giovane dei saggi, con attenzione a non farsi bagnare neanche da una goccia residua che scivola lungo la rupe, volge lo sguardo fuori. Annuncia l`arcobaleno e la fine del pericolo. I saggi escono e, secondo il programma stabilito, incominciano a parlare con i singoli componenti la comunità per ricondurli alla ragione, pur se preoccupati nel vederli in grande agitazione. Ognuno dice la sua, alza la voce. Nessuno ascolta l`altro. Senza capirsi, vagano cianciando per prati e colline. Passano giorni, settimane, mesi. I saggi sono stremati. Non ce la fanno più, anche perché non riescono a prevedere la fine dell’insostenibile situazione. Una sera, poco dopo il tramonto, si siedono, con gambe incrociate, sotto la folta chioma di un grande albero, incupiti, silenziosi. Rinunciano a compiere ogni sforzo ulteriore. Riconoscono d’aver commesso un grave errore nel decidere di non farsi bagnare anch`essi dalla pioggia. Sin qui l’apologo. Prego il lettore di credermi se aggiungo che, dopo il consueto scambio di considerazioni sulle sorti dell’Italia con un fraterno amico, cattolico dai tempi della marcia dei 300mila giovani con i baschi verdi, guidati da Carlo Carretto per esprimere affetto e devozione al Papa Pio XII, gli ho inviato, la settimana scorsa, per posta elettronica, l’apologo innanzi riportato. Immediata la sua risposta: io rimango nella grotta! Lo conosco bene e so che vuol ribadire quanto da tempo mi segnala come ineludibile: l’esigenza di occuparsi sempre dei valori cristiani ed, ora, preliminarmente, della perdita dei valori umani, quelli del diritto naturale, senza i quali è difficile comprendere appieno gli altri che li suppongono e li elevano, rendendo santo ciò che è buono e giusto, se vissuto come discepoli di Gesù il Cristo. In questo, la prima differenza tra il filantropo e il cristiano. 

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