In apertura l’Iraq dove, mentre prosegue il dibattito tra le formazioni politiche in vista della nascita del nuovo esecutivo, non si arresta l'ondata di violenza contro i cristiani. Le ultime due vittime questa mattina a Mossul. Il servizio è di Gabriella Ceraso: ascolta
Radio Vaticana - “E’ una grande sofferenza guardare ad una situazione che si prolunga nel tempo e che cresce ogni anno” .Così don Renato Sacco, di Pax Christi, sulle continue violenze contro i cristiani in Iraq. Sentiamolo al microfono di Giancarlo Lavella: ascolta
R. - Innanzitutto, colpisce il guardare alla grande sofferenza di una situazione che si prolunga nel tempo, e al fatto che ogni anno questa situazione cresce. Basta ricordare i numeri: in questi ultimi cinque anni, più di 900 cristiani uccisi - diversi preti e un vescovo, quello di Mosul - e più di 50 chiese attaccate…
E’ una strage, una tragedia, un momento di grande paura, con il rischio reale che i cristiani in quella terra perdano la fiducia di poter restare, ma forse non la speranza di poter restare. Certo, la fatica è molto grande e credo che ci sia in gioco una grande spartizione di potere, dove sono le minoranze a pagare.
D. - Sul piano istituzionale, intanto, si sta creando il nuovo Iraq, col rischio che ne venga fuori un Paese senza l’importante apporto - che storicamente c’è sempre stato - dei cristiani ormai costretti all’esodo: che Iraq sarebbe quello senza una parte così importante?
R. - Come dicono in molti, anche musulmani, un Iraq senza cristiani non solo rappresenterebbe una grande perdita, ma sarebbe una sconfitta per l’Iraq, per tutto il Medio Oriente e - credo - con riflessi per tutta la comunità internazionale: se la pace è la convivialità delle differenze, creando un Paese dove le differenze non esistono più, si rischia di cancellare la possibilità della convivenza. Io credo sia invece importante fare di tutto perché ci sia questa convivenza etnica, culturale, religiosa, politica, di appartenenza… L’Iraq è un mosaico: cancellare questo mosaico, sarebbe un disastro.
D. - Secondo lei, c’è una strada da suggerire agli iracheni e a tutta la comunità internazionale per riportare, anzitutto, la pace nel Paese?
R. - Una questione è sicuramente rappresentata dal grande business delle armi: la guerra - come sappiamo - è una grande occasione di guadagno. Nel 2009, l’Iraq ha stipulato contratti di alcuni miliardi di euro. Questo vuol dire che in quella terra, già così segnata da morte e da violenze, invece di inserire elementi e strumenti di pace, noi inseriamo strumenti di guerra, che non fanno altro che alimentare l’odio. Proprio domani parleremo di questo a Roma, davanti al Senato, perché l’Italia ha una legge importante - la 185 del ’90 - voluta soprattutto dagli ambienti missionari e religiosi: ora si vorrebbe allentare il controllo, favorendo la vendita e l’export delle armi. Credo che questa non sia una strada per la pace.(mg)
Radio Vaticana - “E’ una grande sofferenza guardare ad una situazione che si prolunga nel tempo e che cresce ogni anno” .Così don Renato Sacco, di Pax Christi, sulle continue violenze contro i cristiani in Iraq. Sentiamolo al microfono di Giancarlo Lavella: ascoltaR. - Innanzitutto, colpisce il guardare alla grande sofferenza di una situazione che si prolunga nel tempo, e al fatto che ogni anno questa situazione cresce. Basta ricordare i numeri: in questi ultimi cinque anni, più di 900 cristiani uccisi - diversi preti e un vescovo, quello di Mosul - e più di 50 chiese attaccate…
E’ una strage, una tragedia, un momento di grande paura, con il rischio reale che i cristiani in quella terra perdano la fiducia di poter restare, ma forse non la speranza di poter restare. Certo, la fatica è molto grande e credo che ci sia in gioco una grande spartizione di potere, dove sono le minoranze a pagare.
D. - Sul piano istituzionale, intanto, si sta creando il nuovo Iraq, col rischio che ne venga fuori un Paese senza l’importante apporto - che storicamente c’è sempre stato - dei cristiani ormai costretti all’esodo: che Iraq sarebbe quello senza una parte così importante?
R. - Come dicono in molti, anche musulmani, un Iraq senza cristiani non solo rappresenterebbe una grande perdita, ma sarebbe una sconfitta per l’Iraq, per tutto il Medio Oriente e - credo - con riflessi per tutta la comunità internazionale: se la pace è la convivialità delle differenze, creando un Paese dove le differenze non esistono più, si rischia di cancellare la possibilità della convivenza. Io credo sia invece importante fare di tutto perché ci sia questa convivenza etnica, culturale, religiosa, politica, di appartenenza… L’Iraq è un mosaico: cancellare questo mosaico, sarebbe un disastro.
D. - Secondo lei, c’è una strada da suggerire agli iracheni e a tutta la comunità internazionale per riportare, anzitutto, la pace nel Paese?
R. - Una questione è sicuramente rappresentata dal grande business delle armi: la guerra - come sappiamo - è una grande occasione di guadagno. Nel 2009, l’Iraq ha stipulato contratti di alcuni miliardi di euro. Questo vuol dire che in quella terra, già così segnata da morte e da violenze, invece di inserire elementi e strumenti di pace, noi inseriamo strumenti di guerra, che non fanno altro che alimentare l’odio. Proprio domani parleremo di questo a Roma, davanti al Senato, perché l’Italia ha una legge importante - la 185 del ’90 - voluta soprattutto dagli ambienti missionari e religiosi: ora si vorrebbe allentare il controllo, favorendo la vendita e l’export delle armi. Credo che questa non sia una strada per la pace.(mg)
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