giovedì, luglio 01, 2010
Sociologi, sindacalisti, giornalisti, un prete e un costituzionalista si sono confrontati in un convegno organizzato dalla Rete delle Reti a Milano per discutere di diritto di cittadinanza e voto agli immigrati

PeaceReporter - Al convegno "Il fenomeno immigrazione...a partire da Milano" organizzato dalla Rete delle Reti alla Società Umanitaria di Milano oggi, 30 giugno, si è discusso di diritto di cittadinanza e voto amministrativo per gli stranieri. L'obiettivo era mandare un messaggio forte alle istituzioni che dovrebbero promuovere l'integrazione dei 200 mila migranti che vivono a Milano e nella sua periferia. Seguiranno nuovi appuntamenti. La Rete di Reti è favorevole alla partecipazione di altre associazioni impegnate in questo percorso.
Quando si affronta il fenomeno dell'immigrazione risultano evidenti alcune problematiche: integrazione sociale dei migranti, formazione scolastica delle seconde generazioni, difficoltà di ottenere il permesso di soggiorno e di ricongiungersi con le famiglie se risiedono nei paesi d'origine. E' elevato anche il rischio di ghettizzazione della popolazione straniera nelle grandi metropoli italiane come Milano. In Italia, la prima proposta di voto per gli stranieri è stata avanzata a livello nazionale dal Partito democratico nel 2008, ma è da anni che le associazioni degli immigrati si battono per il voto dei lavoratori che vivono in Italia, pagando regolarmente i contributi e mandando i loro figli a scuola.

Secondo Adel Jabbar, sociologo dei processi migratori ed esule iracheno, il voto amministrativo potrebbe aiutare a far diminuire l'asimmetria che esiste tra italiani e migranti. "Gli stranieri sono una realtà con cui la società deve confrontarsi" - ha spiegato Jabbar a Peace Reporter - "non può esistere una democrazia che non includa tutti." Per Alessandro Rosina, demografo dell'Università Cattolica, "a Milano, un bambino su tre è nato da almeno un genitore straniero." "Bisogna investire in politiche di responsabilizzazione come il voto amministrativo perché gli immigrati non sono un elemento esterno alla nostra società che è diventata multietnica. Lo conferma la forza dei numeri." Tutti gli oratori del convegno ribadiscono anche che è fondamentale garantire la cittadinanza ai bambini d'origine straniera che sono nati in Italia o vi risiedono sin da una giovane età. Al momento, "costringiamo le nuove generazioni a sentirsi straniere fino a 18 anni", secondo Rosina. I figli dei migranti, infatti, vivono a cavallo tra due mondi e non sono parte né della società d'accoglienza né di quella di partenza.

Quali soluzioni? - Il sociologo Jabbar ritiene che l'Italia rischia di diventare "etnicizzata" o "tribalizzata", ossia che "gruppi di persone si aggreghino attorno a degli elementi pseudo-identitari come la Lega Nord con la sua idealizzazione della Padania." Le istituzioni potrebbero evitare questa deriva degli eccessi, secondo Jabbar, risolvendo assieme agli immigrati di Milano i loro problemi quotidiani legati all'accesso alle cure mediche, alla viabilità o alla necessità di trovare luoghi d'aggregazione. L'integrazione, afferma Jabbar, non può significare che gli stranieri si sottopongano a contratti interinali e precariato come gli italiani, ma avendo un potere contrattuale minore. Per essere parte della società non devono esserne sudditi bensì avere pari opportunità.

Onorio Rosati, segretario della Camera del lavoro di Milano, ritiene che il lavoro sia il principale strumento d'integrazione. Rosati riferisce, infatti, che la Cgil sta avviando corsi di formazione per delegati stranieri. Saranno presenti in ogni posto di lavoro e dovrebbero riuscire a esternare meglio le difficoltà dei loro concittadini con cui hanno in comune la lingua e il vissuto. Rosati attacca il Comune, la Regione e la Provincia di Milano perché hanno delegato alla Camera del lavoro, alle Acli e ad altre associazioni l'applicazione delle normative come la Legge Bossi-Fini. Il sindacalista racconta che in occasione del decreto flussi per la regolarizzazione di colf e badanti dello scorso anno la Camera del lavoro ha compilato 9 mila pre-pratiche, mentre il Comune ne ha completate solo un centinaio. "Le istituzioni non forniscono risorse e strutture e questo meccanismo non funziona", dichiara Rosati.

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