lunedì, novembre 30, 2009
del nostro corrispondente a Roma Carlo Mafera

Si è svolta presso la sala Santa Marta a Roma, in piazza del Collegio Romano, la seconda edizione di un evento culturale particolarmente interessante nel mondo della cultura italiana, la rassegna “Gli ambasciatori della poesia”. La manifestazione è stata patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, promossa dall’Associazione culturale Gli Amici del Mare e dall’Agenzia di Stampa Roma 2000 in collaborazione con il Colonna Palace Hotel e le Librerie Arion. Lo scopo di tale manifestazione è quello di proporre al grande pubblico alcune tra le figure più rappresentative della poesia contemporanea (Ennio Cavalli, Dante Mafffia, Luigia Sorrentino e Alberto Toni). “In quanto - ha dichiarato il direttore di Roma 2000 Riccardo Trinchieri, uno dei promotori della rassegna - siamo più che mai convinti che, mai come oggi, la poesia possa ancora rappresentare uno dei veicoli più efficaci quale strumento di comunicazione tra le genti”. Purtroppo l’intervento di Giulio Andreotti tanto atteso non c’è stato perchè lo stesso, per motivi di salute, ha dovuto dare forfait.

Il primo a scendere in campo è stato Ennio Cavalli, recentemente vincitore del premio “Viareggio”, che ha recitato diverse poesie tratte dalle sue raccolte, ma la più significativa è stata “Questa poesia”: La voglio lurida, questa poesia,/la voglio ludica/la voglio logora/scritta su carta vetrata/ricamata su tela tarlata da usare come straccio per terra/la voglio in guerra, questa poesia,/mitragliata come pericolo declamata da un folletto smargiasso/esiliata per parassitismo/bendata e rapita/crocifissa da uno /guardo/come insetto da uno spillo./La voglio in gabbia come un grillo,/fuori raccolta,/perno della mia svolta./Che la ruggine di finte melodie/ingoi le altre poesie./Che il foglio torni bianco/come cava di calce/come casa sul mare/senza un filo di niente/pur di ricominciare. Cavalli dimostra così il gusto di scardinare situazioni comode, elabora finalmente critiche sferzanti verso la società contemporanea, con quella lama ironica che tuttavia non vuole ferire. Non vuole nemmeno spaventare, Cavalli, ma invita il lettore a entrare nella sua poesia che mette in evidenza digressioni e trasgressioni, senza dare lezioni di vita. Cavalli ha altresì posto l’attenzione sull’importanza dell’ascolto “Se non c’è ascolto le parole restano sterili”, così ha esordito nel suo intervento iniziale. Nel breve tempo che ogni poeta aveva a disposizione ha lanciato degli spunti di riflessione sui contenuti dei suoi libri (il Libro Grosso e il Libro delle Sillabe). In particolare ha sottolineato il concetto dell’”infanzia delle cose” che deriva dall’ esperienza, …. che dà la maturità, “il passare degli anni ti fanno capire meglio cosa significhi la storia.- dice Cavalli nella rivista “La Città del secondo rinascimento” dove egli parla di se stesso - “Perché la tua storia diventa un metro di misura, infinitesimo, certo, ma ti consente di capire i destini altrui, le cose che sono o che non sono state, le epoche, i percorsi. Durante la serata ha parlato di tempo infinito e anche qui nella stessa rivista egli spiega “Il mio primo libro di poesie s’intitolava L’infinito quotidiano. C’era già una vaga idea di poetica, in quel titolo, come un marchio sulla mia visione del mondo, sul modo di accostarmi alla realtà, tendendo le reti della fantasia. Cercare l’infinito quotidiano significa quotidianizzare l’infinito, ma anche dare una scossa ai semplici movimenti, alle emozioni primarie che hanno radici in qualcosa di più grande e che detengono, in proporzioni misteriose, riverberi d’infinito. Disponiamo di mezzi limitati, orfani, comunque, dell’assoluto.” Il secondo poeta, Dante Maffia ha voluto subito stupire l’uditorio con una frase ad effetto “La poesia è generatrice di emozioni e di linguaggi nuovi” e se non lo facesse non sarebbe d’altronde poesia. “La poesia deve spalancare nuovi orizzonti con rigore linguistico”. E ancora. La poesia ha il compito “di far uscire dal grigiore della realtà facendole assumere una dimensione diversa”. Questo è il filo conduttore dell’ultimo suo libro “Al macero dell’invisibile”. E anche in un suo precedente “Il corpo della parola” ribadisce l’importanza della parola per trascendere la realtà, per darle un senso. Così mette ben in evidenza Leandro Piantini nella recensione al libro suindicato “Questo è il concetto fondamentale che i testi di Mafia ribadiscono in mille modi nel libro: “Chi crede più ormai che la parola/ possa sdoganare il segreto di qualcosa?/ Il suo compito è di registrare una nuova partita/doppia, parola ragioniera” (p. 38). Essa infatti ha completamente perduto la “divina aura” che aveva nei secoli passati. Tutto il dicibile è già stato scritto, e dunque di “pagine ben scritte/ ce ne sono a milioni”, anche se un residuo di fiducia, una scommessa con se stesso, uno scatto d’orgoglio fa dire al poeta che nonostante tutto bisogna cercare comunque di scrivere bene.” Maffai ha poi recitato una poesia di Alfonso Gatto per commemorarne la memoria a cento anni dalla sua nascita. Naturalmente c’è stato un lungo applauso a commentare la grandezza del poeta. È stata poi la volta di Luigia Sorrentino che ha presentato il suo libro “La nascita, solo la nascita”. In una recente intervista rilasciata a Rita Pacifici lei spiega “La vita che non” che è il verso finale della poesia “so che non vi è vita né percezione”, è la negazione della vita nel proprio tempo. Questo non è certamente di per sé consolatorio, ma induce a una riflessione profonda sul significato della propria esistenza. Quel “non” testimonia l’impotenza di intervenire in ciò che accade nel proprio tempo e nella propria epoca ed è il riconoscimento della propria impotenza. E allora, compito del poeta è traghettare, anche con parole dure, scagliate come pietre, l’uomo verso la propria coscienza. Dal tempo dell’esaltazione e dell’espiazione al tempo della consapevolezza affinché ciascuno possa riappropriarsi dell’integrità perduta. In questo senso posso affermare di credere nella funzione sciamanica, rivelatrice della poesia. La forza della parola poetica da un lato deve rivelare all’essere umano la sua condizione esistenziale misera, contaminata dall’ingiustizia, dalla violenza, dall’ineguaglianza, dall’altro, spalancando la porta del sé sacro, deve mettere in luce la condizione divina che appartiene all’essere – a ciascun essere – fin dalla sua nascita.” Nella serata del 27 novembre ha semplicemente detto e ribadito questo concetto di impotenza dell’uomo nei confronti della sua condizione umana. “Non ci sono né vincitori né vinti”. “E ancora. ”E’ inutile combattere delle guerre perché non si sa bene cosa si vince o cosa si perde”. Anche lei ha sottolineato l’importanza della parola, anche di quelle dure come le sue. Servono le parole per far prendere coscienza all’uomo della sua condizione. E ha concluso. “E’ la parola che viene portata e tu ti lasci portare dalla parola”. Infine, l’ultimo poeta Alberto Toni la cui poetica si dipana tra discorsività, emotività e rappresentazione, soprattutto nel suo ultimo libro “Alla lontana, alla prima luce del mondo”. Sono i tre binari sui quali lo stile della poesia di Alberto Toni poggia i propri fondamenti. Poesia che assimila la prosa, che attira la prosa con la forza di un magnete; si badi, non poesia che va verso la prosa ma prosa che viene attirata, fagocitata entro il campo di tensione linguistico della poesia. Infine l’ottimo coordinatore della serata, Francesco Agresti, insieme al direttore dell’agenzia di stampa “Roma 2000”, Riccardo Trinchieri, hanno ringraziato i numerosi intervenuti e dato l’appuntamento per la terza edizione.

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