venerdì, ottobre 30, 2009
Il 5 novembre prossimo, mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, presenterà nella Sala Stampa della Santa Sede l’incontro di Benedetto XVI con gli Artisti.

L’evento, in programma per il 21 novembre, vuole ricordare il decimo anniversario della Lettera di Giovanni Paolo II agli Artisti. Sugli obiettivi di questo incontro Fabio Colagrande ha sentito lo stesso mons. Ravasi (ascolta):

R. – Vuole stabilire un contatto proprio per riannodare un filo che era stato aperto 45 anni fa, proprio nello stesso ambito della Cappella Sistina, da Paolo VI con un discorso memorabile, con il quale Paolo VI chiedeva agli artisti di continuare a carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità ponendo così un legame tra fede e arte. Ecco, il filo conduttore parte da là e passa poi attraverso il decennio di questa Lettera degli Artisti. Il problema centrale è proprio che questo filo si è o allentato, in molti casi, oppure semplicemente interrotto, perché i due mondi dell’arte e della fede in questi ultimi tempi, rompendo una tradizione secolare, si sono avviati su sentieri che sono completamente divergenti.

D. – Di un distacco tra il mondo dell’arte e il mondo della fede nell’età contemporanea parlava lo stesso Giovanni Paolo II, in quella Lettera. Quali le cause di questo distacco?

R. – Questo distacco ha cause ben precise, che sono da un lato ormai la radicale secolarizzazione della società contemporanea, per cui anche gli artisti hanno lasciato su uno scaffale polveroso – potremmo dire – tutte le narrazioni, i simboli, le figure, le grandi tradizioni iconografiche che erano assunte soprattutto da quel grande codice che era la Bibbia. Per questo, riteniamo che sia importante che Benedetto XVI abbia voluto ancora fare incontrare questi due orizzonti, perché in effetti qualche elemento ha continuato a permanere, e soprattutto ha continuato la grande tradizione del passato. Voglio solo fare un esempio, quello riguardante l’architettura. L’architettura sacra in questi ultimi tempi ha visto i più grandi architetti che hanno voluto ancora tentare di riproporre lo spazio sacro secondo canoni nuovi. Quindi, non si era del tutto interrotto questo filo: bisogna cercare di riannodarlo perché questo sarà positivo sia per la fede, sia per l’arte.

D. – Teologicamente, che cosa la colpì in particolare di questa Lettera scritta dieci anni fa da Giovanni Paolo II?

R. – Da un punto di vista teologico, sicuramente il rimando a una teologia dell’arte che ha avuto la sua espressione più alta nel secolo scorso attraverso l’opera “Gloria” di Hans Urs von Balthasaar. Ma d’altra parte, anche – direi – quella “via pulchritudinis” - la via della bellezza - che era stato uno dei grandi percorsi d’altura, quasi, della fede, della teologia in certi periodi della storia. Secondo elemento che sicuramente è significativo, è aver usato ripetutamente gli artisti, i letterati, i poeti, le testimonianze musicali per intessere il discorso teologico: ricordando cioè quello che diceva un grande teologo, storico della teologia, come Chenu, il quale ricordava che nella sua opera sulla teologia del XII secolo, è importante considerare anche le espressioni artistiche come luoghi teologici, cioè come un modo anch’esso aperto per scoprire il mistero di Dio, come lo è la teologia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


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