lunedì, luglio 13, 2009
"L'agenzia di notizie religiose "Fides" (Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli) nel fine settimana ha pubblicato un ricco e interesante dossier sul "fenomeno delle migrazioni e il magistero della Chiesa"; ringraziando "Fides", eccone qualche passaggio introduttivo:

Misna - "Dal 1988 oltre 12.566 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa: tra loro numerose donne e bambini. Solo nei primi mesi del 2008 circa 399 sono le persone morte nel Canale di Sicilia, nel tentativo di raggiungere l’Italia dalle coste africane e 188 sulla rotta verso la Spagna e le Canarie. Altro pericolo quello dello sfruttamento, nelle forme più diverse: donne giovani e belle, spesso ancora minorenni, che vengono attirate nei paesi occidentali con la speranza di un lavoro, di una casa, di denaro per la famiglia che rimane nella terra di origine. Donne che, invece, si trovano nell’atroce rete dello sfruttamento sessuale, dal quale è impossibile uscire senza l’incontro con una mano amica. O il lavoro nero: numerosissimi i casi di uomini e donne che lavorano per ore sotto il sole, come raccoglitori di ortaggi e frutta nei campi, che percepiscono un salario minimo e ai quali non è garantita la minima tutela, né la minima sicurezza. Ancora più che per un cittadino locale, per un immigrato è facilissimo cadere nella rete della criminalità: da una parte spesso, quando arriva in un paese straniero, tende a legarsi con persone del suo paese di origine, e qualora questi individui siano collusi con qualche gruppo criminale, si sente in dovere (o viene costretto) a prendervi parte; inoltre, come per tutti coloro che si ‘dedicano’ alla malavita, l’ipotesi di guadagni facili e veloci, è certamente ghiotta; lo è ancora di più quando si è soli, fuggiti dal proprio paese e ci si ritrova senza nulla. La stragrande maggioranza degli immigrati che raggiungono l’Europa, però, arrivano nei nostri paesi con intenzioni sane, di trovare un lavoro, di ricostruirsi una vita. Probabilmente il tessuto sociale e civile che abbiamo non è ancora pronto ad un’accoglienza basata su una integrazione perfetta, che renda l’immigrato un cittadino uguale agli altri.


Innanzitutto: chi è l’immigrato? In base alla legge del 28 maggio 2007 n. 68, sul piano giuridico l’immigrato è un individuo che si reca in un altro paese per lavoro o studio, o se per un altro motivo, per non più di tre mesi. I cittadini comunitari, in seguito alle nuove normative, hanno maggiore libertà di movimento e meno restrizioni nell’essere registrati nel paese di arrivo. Questa definizione deve essere, comunque, confrontata col momento storico attuale; è un’epoca in cui la globalizzazione è galoppante, in cui paesi prima in difficoltà e con grandi contraddizioni al loro interno, come la Cina e l’India, stanno emergendo sui mercati in maniera sempre più veloce e sviluppata. Questo comporta uno sbilanciamento forte dell’equilibrio mondiale, acuendo le differenze e le distanze tra mondo sviluppato e Terzo e Quarto mondo, tra Nord e Sud. In questo contesto l’immigrazione riveste un ruolo importante, poiché è sempre più grande il numero di persone che sfugge la povertà, la guerra, la violenza, gli abusi e la mancanza di libertà di espressione. I migranti nel mondo sono circa 200 milioni, circa il 3% della popolazione mondiale; numerosi sono i richiedenti asili politico o gli sfollati, ma il numero maggiore di immigrati si muove per motivi di lavoro, e vengono impiegati o in settori altamente specializzati, come quello medico e quello dell’information technology, oppure in settori in cui non è necessaria una specializzazione: il tessile, i servizi, l’agricoltura. Recentemente i paesi in via di sviluppo, dai quali partono numerosi flussi migratori, si stanno interrogando su quanto l’emigrazione faccia perdere loro delle risorse importanti per l’economia interna: è il caso dell’Africa, dove grande è l’emigrazione di medici, infermieri, personale sanitario, di cui, invece, il continente nero ha sempre più bisogno. Sono 79 i paesi nel mondo che stanno studiando politiche per far tornare gli emigrati, al fine di convivere con tutta la popolazione i risultati conseguiti in un altro paese.

In Italia il fenomeno migratorio è particolarmente rilevante: dei circa 28 milioni di immigrati che, secondo il XVIII° Rapporto Caritas/ Migrantes nel 2007 risiedevano in Europa, 3 milioni e 700 mila si sono stabiliti in Italia; per la sua posizione centrale è meta ambita da molti: per gli abitanti della Romania, che arrivano a superare le 500 mila unità, e per quelli di Marocco ed Albania, che si aggirano attorno alle 400 mila unità. L’entrata in Europa della Romania ha certamente reso più stretti i legami tra i due paesi, e favorito l’emigrazione di cittadini rumeni in Italia, tanto da dare vita, nel 2007, ad un picco nel numero degli immigrati: furono, infatti, circa mezzo milione. Queste nuove ondate di migrazioni, soprattutto quando non sono spinte da situazioni disperate, vengono fatte allo scopo di radicarsi nel nostro paese: sono in aumento i matrimoni misti, l’imprenditoria straniera, la partecipazione delle donne ai settori produttivi, gli studenti stranieri che frequentano le scuole e si laureano nelle università italiane. Il fenomeno dei ricongiungimenti familiari conferma il desiderio di scegliere l’Italia come nuova base di partenza per una vita più dignitosa. E il nostro paese, per quanto ancora non è in grado di riconoscerlo, trae enorme linfa dalla presenza straniera: basti pensare al basso tasso di nascite e all’aumento della popolazione over 65; dinamiche che vengono sovvertite dalla presenza di stranieri, in media più giovani e con più figli (ogni donna straniera ha, in media, il doppio dei figli di una donna italiana). Nel futuro dell’Italia, e del mondo, l’immigrazione e l’integrazione hanno un peso fondamentale, tanto che sarebbe difficile pensare agli anni a venire senza prendere in considerazione i fenomeni migratori. In fondo è solo un destino che compie il suo giro: fino agli anni Settanta l’Italia era ancora terra di emigrazione, ed ha fornito forze materiali ed intellettuali nei paesi in cui i nostri concittadini sono arrivati. Il 2007, quindi, è stato l’anno in cui l’Italia è arrivata ad ospitare circa 3 milioni e 450 mila persone, circa il 5,8% della popolazione residente: secondo i dati dell’Istat, questa percentuale arriverà al 13% entro i prossimi 20 anni".

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