mercoledì, luglio 15, 2009
della nostra redattrice Monica Cardarelli

“A noi ragazze non è permesso esprimere ciò che pullula nel nostro animo. Eppure anche noi siamo intrise di suoni. Perché non esistono musiciste? Perché le donne non compongono musica? Perché si accontentano di lasciarla suonare dentro il loro animo, a tormentarle, a corrodere i loro pensieri? Perché non se ne liberano buttandola fuori?”. Così Cecilia, la protagonista di Stabat mater, il libro di Tiziano Scarpa a cui è stato assegnato il Premio Strega 2009, annota nel suo diario notturno rivolto alla madre che l’aveva abbandonata pochi giorni dopo la sua nascita nell’Ospitale di Venezia.

Non è mai facile né opportuno, a mio avviso, definire un libro. Dovendolo fare, per questioni di praticità, nella consapevolezza di limitarlo alle percezioni e alle sensazioni che ha suscitato in me la sua lettura, posso dire che si tratta di un racconto intimista narrato con delicatezza e senza enfasi, senza mai scadere nel malinconico. Attraverso le pagine che scorrono veloci, Tiziano Scarpa conduce il lettore in profondità nell’animo della protagonista che cresce in questo luogo ‘fuori dal mondo’, tormentata dalla sua situazione, dalla mancanza di radici di cui è alla ricerca, dalla solitudine, dalla impossibilità di crescere confrontandosi con una madre, finché non scopre che la musica non è solo intorno a lei, non solo viene insegnato a lei e alle altre ragazze a suonarla, ma è anche dentro di lei. La musica come strumento di conoscenza e di interpretazione di se stessa, delle proprie sensazioni, paure, emozioni, che le darà il coraggio di appropriarsi del suo essere e decidere la propria vita.

I pensieri di Cecilia proseguono chiedendosi: “Che cosa succederebbe, se il mondo venisse invaso dai suoni che accadono dentro l’animo delle donne?”. Ecco, cosa succederebbe se le donne, una volta acquisita la consapevolezza della propria femminilità, del proprio tratto femminile, della propria anima, avessero modo di invadere con la propria unicità il mondo in ogni sua espressione, artistica, economica, politica o giuridica? Ciò a cui mi riferisco è l’essenza propria del femminile. Quei tratti delle donne, quello sguardo sul mondo e sulla vita, quelle sensazioni, quelle emozioni e quel modo di sentire la vita e la morte che appartiene solo alle donne. Ciò che fa la differenza tra il maschile e il femminile, l’uomo e la donna nella loro differenza (che deve restare per poter esaltare l’unicità dell’altro) e nella loro complementarietà. Nell’incontro di due differenze.

“La diversità dell’uomo e della donna fonda ogni altra diversità e afferma che da soli non si vive. La Genesi conclude: ‘L’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse’. (Gen. 2, 20). È l’esperienza amara della solitudine: non trovare un aiuto simile. L’aiuto che l’uomo cercava era qualcosa di superiore, simile solo a quello che Dio può dare. Questa è la storia di come la donna appare nella vita di un uomo, raccontata dalla Genesi. È la storia dell’interdipendenza dell’uno dall’altra, dell’una dall’altro.” afferma Andrea Riccardi nel suo libro “Uomo e donna sogno di Dio”.

Tutto ciò implica come punto di partenza la conoscenza del proprio carattere unico, femminile o maschile, e l’accettazione dell’altro, di quella differenza che manca per completare l’uno. Sottintende, però, anche la consapevolezza dei propri limiti e la ricerca dell’unicità dell’altro per poter accettare la complementarietà come un arricchimento e un aiuto reciproco. Infatti, come prosegue Andrea Riccardi “Non si vive da soli. Non è buono che l’uomo sia solo. Talvolta la solitudine è una forma di idolatria di se stessi; altre volte è una dura condanna che rende la vita difficile, infeconda, dura da sopportare. Non è buono quando la solitudine porta al disprezzo degli altri. Non è buono che l’uomo sia solo. L’uomo non è che l’inizio di una catena di fraternità: non c’è uomo senza donna; non c’è donna senza uomo. Quanta solitudine nella nostra stessa vita! E la solitudine vuol dire, alla fine, impotenza. Solitudine vuol dire non avere un aiuto, ma anche non poter dare aiuto. Nell’interdipendenza, invece, è scritto l’aiuto: e l’aiuto è il senso di un limite che si può superare con l’altro. È l’espressione del bisogno della differenza, quella dell’altro.”

Dando come presupposto questa consapevolezza e accettazione della diversità dell’altro per la convivenza sociale e per delle relazioni che abbiano un senso, ciò che interessa qui è come e quando si possa invadere “il mondo dai suoni che accadono dentro l’animo delle donne”.

Il ruolo della donna in vari ambiti della società, dalla politica alla teologia, dall’economia al sociale, è fondamentale ormai. Non si deve però correre il rischio di far ricoprire alle donne ruoli che vengono svolti dagli uomini, oppure pensare che le donne debbano agire come gli uomini. Questo sarebbe l’errore più grave perché svilirebbe l’animo femminile cercando di farlo diventare ‘maschile’ cosa che, per sua natura non avrebbe senso. Ma la cosa peggiore sarebbe che in questo modo non verrebbero affatto valorizzate le caratteristiche proprie del femminile, quei suoni che accadono solo dentro l’animo delle donne e che sono diversi da quelli dell’animo maschile. Non si tratta di rivendicare una parità quanto piuttosto di far conoscere il valore della femminilità nelle sue varie espressioni.

Il Governo brasiliano ha presentato il progetto “Territori di pace” che coinvolge 2.500 donne come responsabili della prevenzione dei conflitti locali e dell’uso della violenza. In Brasile, ormai, il problema della violenza locale nelle favelas, il narcotraffico, ed altre forme di violenza è pressante. I dati riportati sono di circa 45.000 omicidi l’anno. Una situazione davvero preoccupante. In questo ambito così difficile e delicato, il Governo brasiliano ha pensato ad un progetto di prevenzione svolta dalle donne. Il piano è stato lanciato alla fine del 2008 dal Governo e ora già si vedono i primi risultati. Le donne sono state selezionate e formate e ricevono un piccolo stipendio di 80 euro al mese. “La pace in un territorio dove c’è violenza è solo possibile se è nata dai propri abitanti. L’obiettivo è quello di ridurre l’insicurezza nella zona attraverso i cittadini e non attraverso la repressione della polizia.” afferma Rita Lima, coordinatrice di questo progetto. “Le strade sono asfaltate, sono state costruite nuove scuole, insomma, la tranquillità è tornata” afferma un residente in uno dei quartieri più colpiti. Questo è un piccolo, grande esempio di come si possa impiegare al meglio il femminile nella società. Perché le donne hanno uno sguardo diverso sul mondo. Agiscono e decidono diversamente da un uomo.

È bello potersi esprimere per il proprio popolo, la propria gente. È bello poter dar voce ai suoni dell’animo femminile. Perciò, è bello e arricchente per tutti, in ogni ambito della società, non dover suonare la musica scritta da uomini ma arrivare a dire con Cecilia nel suo Stabat Mater “Questa musica è fatta di donna, spargiamo nell’aria il nostro profumo speziato.”

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