martedì, giugno 30, 2009
Cresce la tensione per l’ipotesi di chiusura del campo iracheno Camp Ashraf

PeaceReporter, Baghdad - A cinquanta miglia dal confine iraniano, si sta svolgendo silenziosamente una vicenda drammatica, con il governo iracheno che affronta la sorte di diverse migliaia di membri dell'opposizione iraniana che si rifiutano di scomparire dalla storia.
L'opposizione dei Mujahideen al-Khalq (MEK) sta seguendo attentamente le proteste nel vicino Iran per le accuse di rielezione irregolare del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Ma il loro interesse non è se il leader iraniano concederà il riconteggio dei voti. La loro convinzione è che le proteste potrebbero in qualche modo rovesciare l'intero sistema iraniano a guida religiosa. "Stiamo assistendo all'inizio della fine del regime clericale oppressivo" dice uno dei sostenitori dell'organizzazione con sede a Parigi.

La prospettiva di un cambiamento nel governo dell'Iran è considerata da molti tanto improbabile quanto la speranza del MEK che l'Iraq cambierà idea sulla chiusura del campo, che è stato una fonte di forte tensione nelle relazioni Iran-Iraq.
Nelle ultime settimane, la leadership di camp Ashraf, l'ex base militare principale del MEK, ha accusato la polizia anti-sommossa irachena di essere entrata nel campo a nord di Baghdad e di aver minacciato i suoi 3400 residenti.
Funzionari occidentali che conoscono il caso dicono che le forze d'intervento rapido del Ministero dell'Interno si sono fermate fuori dall'ingresso principale del campo, in quella che è sembrata essere una manifestazione di forza, senza entrare effettivamente nel campo.
Dicono anche, comunque, che la situazione potrebbe diventare violenta in modo molto facile, data la combinazione delle truppe irachene, che non sono famose per la loro moderazione, e un'organizzazione estremamente disciplinata intenta a creare un incidente internazionale.
Nel 2003, a Parigi, diversi manifestanti del MEK si sono dati fuoco per protestare contro l'arresto del leader dell'organizzazione.
La posta in gioco è così elevata, dicono funzionari occidentali, perché Camp Ashraf, che prima della guerra aveva i propri carri armati e mortai, è stata il centro dell'organizzazione.
"Camp Ashraf è l'ultimo posto che hanno" dice un ufficiale occidentale, "Ci si deve domandare che può essere il MEK senza il campo".

Finanziati e armati sotto il regime di Saddam Hussein.
Il campo che occupa una vasta area, con i suoi giardini curati e le strade alberate, è un residuo del conflitto dell'Iraq con il vicino Iran, che include otto anni di guerra. Sotto Saddam Hussein, il MEK è stato finanziato ed armato, e ha lanciato attacchi su larga scala all'Iran dal suolo iracheno.
Con la caduta del regime iracheno nel 2003, il MEK è stato disarmato dalle forze americane. Il governo iracheno, che insieme agli Stati Uniti considera il MEK un'organizzazione terroristica, afferma che i membri del movimento non hanno alcun diritto legale di essere nel luogo e ha chiesto loro di tornare volontariamente in Iran o in un Paese terzo che li accetti.
"Senza uno status legale qui, non esistono" commenta un funzionario occidentale. "E' una situazione impossibile."
Per la persistenza con cui il MEK esercita pressioni verso i funzionari governativi, e per la delicatezza della questione, tutti i funzionari che hanno parlato della situazione hanno chiesto di restare anonimi. Il comitato iracheno che si occupa della vicenda si è rifiutato di rispondere alle richieste di commento.
Il MEK stesso, che emette costantemente comunicati che accusano le autorità irachene di cercare di uccidere i suoi membri, non ha risposto a domande specifiche riguardanti i piani di spostamento dei residenti del campo.
Si ritiene che circa 100 dei 3400 residenti del campo abbiano doppia nazionalità. Altri 1000 sono stati residenti in altri Paesi. Nonostante il MEK sia elencato fra le organizzazioni terroristiche da USA e Iraq, i residenti di Camp Ashraf non sono considerati individualmente terroristi.
Le offerte di trasferimento sono difficili da ottenere
Tuttavia, coerentemente con i commenti dell'ex capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale iracheno, che ha descritto i membri del MEK come "persone a cui è stato lavato il cervello" e potenzialmente pericolosi, persuadere altri Paesi ad accettarli è stato molto difficile.

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha dato a circa 250 residenti del campo lo status di rifugiato, ma finora molto pochi sono stati accettati da un altro Paese, dicono alcuni funzionari.
Circa 600 residenti hanno lasciato il campo volontariamente dal 2003. Il governo iracheno ha dichiarato che sta progettando di trasferire quelli che sono rimasti in un'altra regione dell'Iraq, più lontana dal confine iraniano, ma non ha ancora spiegato ai leader del campo dove intenda trasferirli.
"Più ci avviciniamo a questa eventualità, più c'è tensione" dice un funzionario, affermando che lo scoppio della violenza dipende dalle istruzioni che i residenti ricevono dalla leadership del MEK.

Il limbo legale di un ex residente.
I capi del campo mostrano risme di documenti che elencano i residenti come persone protette dalla Convenzione di Ginevra durante i combattimenti del 2003. Ma questo non serve a risolvere il problema attuale di residenti senza uno status legale in un Paese che non è più in guerra con l'Iran o sotto attacco americano.
Alcuni di quelli che hanno preso la difficile decisione di abbandonare Camp Ashraf si sono ritrovati in un limbo.
In un hotel della zona verde di Baghdad, in maggio, una membra del MEK che se n'è andata dal campo stava aspettando i documenti di viaggio per potersi riunire a sua figlia, che ha dovuto abbandonare diciassette anni fa, all'età di due anni.
La donna, che non vuole far conoscer il suo vero nome per timore di rappresaglie da parte dell'autorità iraniana, ci ha chiesto di chiamarla Zahra. Ha vissuto in campi MEK in Iraq per 21 anni, e ha fatto crescere sua figlia nata a Baghdad da altri membri del MEK all'estero, dopo che l'organizzazione aveva deciso di separare le famiglie credendo che i legami familiari indebolissero l'impegno dei membri per la loro causa.
"E' difficile capire per le altre persone. Tutti noi nel campo siamo persone politicizzate, impegnate a rovesciare il regime iraniano" dice.
Zahra ha ricevuto lo status di rifugiata in Svezia dopo essere stata imprigionata a Shiraz quando era una manifestante adolescente negli anni 80. Ha detto di aver lasciato Camp Ashraf perché è stato difficile nell'ultimo anno ottenere gli antidolorifici per una ferita si è procurata durate un'operazione militare, poco dopo il suo arrivo in Iraq.
"Loro [la leadership del campo] mi hanno detto «Puoi andare dove vuoi»" dice Zahra.
Alcuni funzionari dicono privatamente che dopo che Zahra ha iniziato a fare pressione per conto del MEK su parlamentari iracheni che sono contrari alla decisione del governo di chiudere il campo, è stata trasferita dall'altra parte della città in un albergo molto più piccolo, dove molti altri membri del MEK vengono alloggiati mentre aspettano i documenti necessari a lasciare il Paese.

In una telefonata dalla sua nuova stanza, ha detto che le è stato impedito di lasciare l'hotel e di aver iniziato uno sciopero della fame. L'ambasciata tedesca ha detto che sta seguendo il caso, e altri diplomatici hanno detto che la sua salute non sembra essere in pericolo.
Alcune guardie del governo iracheno stazionano nell'atrio dell'hotel e impediscono di avvinarsi a Zahra e non permettono che il telefono dell'albergo venga usato per chiamare la sua stanza, dicendo che c'è bisogno di un permesso da ufficiali di grado più elevato perché Zahra possa parlare con qualcuno.
"E' una parte del problema... il governo iracheno non ha deciso come gestire la questione dei singoli individui," dice un diplomatico occidentale, notando che il trasferimento verso un Paese terzo impiega spesso mesi o anni. "Devono dare loro un incentivo per voler lasciare il campo".

Jane Arraf, corrispondente del The Christian Science Monitor

*Traduzione di Francesco Gastaldon


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