domenica, giugno 28, 2009
del nostro redattore Carlo Mafera

Taluni studiosi estremizzano la codipendenza arrivando a definirla una vera e propria patologia psicologica, cronica e progressiva. In questi casi i codipendenti necessitano di relazionarsi con persone dipendenti per un'insana forma di benessere. Scelgono ad esempio un'alcolista, perché quest'ultimo necessita anche di un salvatore, e dipenderà dal codipendente. Anzi, a volte, se riescono nel loro ruolo di salvatori, la relazione finisce, e cercano subito un altro da salvare. La codipendenza può essere anche caratterizzata come una relazione disfunzionale di tipo simbiotico.

Tale tipo di relazione si viene a creare quando uno o entrambi cercare nell'altro la compensazione delle proprie carenze, dei propri bisogni insoddisfatti, al fine di sostenersi reciprocamente. Ad esempio chi è maggiormente istintivo cerca persone che hanno sviluppato maggiormente l'aspetto razionale e viceversa. In questo modo ci si illude che l'altro è fondamentale per il proprio equilibrio in quanto compensa nostre carenze. Come superarla? Il primo passo è riconoscere di avere un problema e successivamente fare qualcosa per cambiare se stessi e non gli altri, come il co-dipendente cerca in tutti i modi di fare. La cura passa attraverso l'imparare il sano distacco dalle persone e dalle situazioni (problemi inclusi) e la responsabilità. Imparare a dedicarsi alla più importante e anche la più trascurata dal codipendente, delle responsabilità: prendersi cura di se stessi. Per esempio se uno dei due decide di "evolvere", cioè di superare o compensare i propri bisogni, l'altro si sente inevitabilmente tradito e abbandonato, in quanto sente il venir meno di quella relazione che lo faceva sentire al sicuro. Infatti questo tipo di relazione disfunzionale come tutte le relazioni simbiotiche non prevede cambiamenti, ma equilibrio, staticità, dipendenza. In particolare possiamo dire che il co-dipendente è apparentemente molto forte, ha un ruolo importante e centrale nella famiglia d’origine e in quella attuale (nel passato e nel presente); si mostra sempre dedito agli altri, volto a “sacrificare” la propria vita per il genitore, il figlio, il marito. Sa essere molto attento al comportamento dell’altro, tanto da mostrarsi invadente e controllante. Tende a farsi carico di tutta la responsabilità della famiglia, appropriandosi di ruoli che non sono i propri. Per esempio: una donna che fa da mamma ai propri genitori e al proprio compagno, sacrifica il suo ruolo di figlia e di moglie. Se inizialmente tutto ciò gratifica il co-dipendente che si sente in una posizione di prestigio, a lungo andare sperimenta la sofferenza per il “a me chi ci pensa” o “chi si prende cura di me”. Ma questa consapevolezza verrà raggiunta con l’ausilio di un percorso individuale.

Nel corso della psicoterapia con pazienti che presentano dipendenza da gioco patologico, è fondamentale coinvolgere la famiglia e soprattutto coinvolgere la persona “co-dipendente”. Il coinvolgimento comprende un percorso individuale che ha come obiettivo primario, quello di riappropriarsi di se stessi in modo “sano”.

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