Benedetto XVI chiede alle nazioni di combattere la povertà integrando i poveri, rendendoli attori e partner nello sviluppo. “Irrazionali” le politiche di controllo sulla popolazione; “illusorie” le ideologie che vogliono la redistribuzione delle ricchezze; “piatti” l’attuale sistema finanziario e le sue tecniche disastrose. L’educazione dei poveri e la condivisione sono la strada della missione della Chiesa e della pace.
Roma (AsiaNews) – Del diacono san Lorenzo si dice che quando un giorno l’imperatore gli chiese di consegnargli tutti i tesori della Chiesa di Roma, lui gli portò numerosi poveri aiutati dalla comunità, esclamando: “Questo è il tesoro della Chiesa!”. Con il Messaggio per la Giornata della Pace 2009, Benedetto XVI allarga questa visione per affermare che i poveri sono il tesoro della società mondiale. Non nel senso banale di un pauperismo moralista e inutile: il messaggio non chiede di essere poveri, ma anzi di “combattere la povertà”. La proposta del papa è invece quella di tener conto di essi come la misura dell’umanità delle nostre società.
È la presenza dei poveri che ci dice quanto la globalizzazione stia andando nel verso giusto e quanto sta occludendo le coscienze, disinteressandoci del resto del mondo e accontentandoci di usare il nostro raggiunto benessere come una droga soporifera. “Solo la stoltezza può … indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado” (n. 14). Lo stuolo dei poveri e degli emarginati misura la stabilità o l’instabilità di una società. Basta vedere cosa succede alla Cina, dove lo sviluppo corrotto di pochi e l’abissale miseria di molti continua a provocare rivolte sociali che mettono a repentaglio tutti i successi decantati dal Partito comunista cinese in questi decenni.
Quanto succede in Cina (o in Grecia) può essere applicato a livello planetario. I poveri sono gli interlocutori del nostro modello di sviluppo, costruttori insieme ai ricchi di una società che possa vivere nella pace. Purtroppo, finora molti Stati e perfino le agenzie Onu sulla popolazione, preferiscono “combattere la povertà” eliminando anche fisicamente i poveri. Il Messaggio si sofferma sulla iniqua politica di controlli sulla popolazione (aborti, sterilizzazioni, aborti selettivi sulle bambine), mostrandone l’irrazionalità, dato che le Nazioni a maggior indice di sviluppo sono quelle più popolate: “In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà” (n. 3). Dunque è irrazionale l’eliminazione annua di 500 mila feti femminili in India, o l’aborto selettivo di 40 milioni di bambine negli ultimi 20 anni in Cina. Irrazionale è anche la corsa agli armamenti, la banalizzazione della lotta contro l’Aids, le speculazioni che creano la crisi alimentare mondiale (nn. 4-8).
Il Messaggio suggerisce che per accrescere la ricchezza e la pace, le Nazioni devono dare spazio ai poveri, “mettere i poveri al primo posto” dando loro voce in politica, dando loro spazio nell’economia, rendendoli attori partecipi dello sviluppo. La Chiesa e i missionari svolgono da secoli questa dinamica con le scuole, gli ospedali, le università aperti anche ai poveri.
Il papa giudica “illusorie” le politiche ideologiche di ridistribuzione della ricchezza, trasformatesi sempre in demagogici flop (basta pensare al Venezuela o allo Zimbabwe). E reputa “piatto”, senza profondità e spessore l’attuale sistema finanziario e le sue tecniche (nn. 10-12), che si preoccupa di creare ricchezze dal nulla, conducendo il pianeta al disastro attuale. Egli propone una rivoluzione “morale”: che ogni uomo si senta “personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse” (n. 8) e che i poveri possano “mettere a frutto la loro capacità di lavoro” (n. 14). Varrebbe la pena che queste consigli fossero seguiti da Paesi come gli Stati Uniti, dove si sta cercando di salvare l’economia coprendo solo i buchi abissali dei colossi finanziari in crisi. E che ascoltasse anche la Cina, dove ai poveri non si dà nemmeno il diritto di parlare.
Roma (AsiaNews) – Del diacono san Lorenzo si dice che quando un giorno l’imperatore gli chiese di consegnargli tutti i tesori della Chiesa di Roma, lui gli portò numerosi poveri aiutati dalla comunità, esclamando: “Questo è il tesoro della Chiesa!”. Con il Messaggio per la Giornata della Pace 2009, Benedetto XVI allarga questa visione per affermare che i poveri sono il tesoro della società mondiale. Non nel senso banale di un pauperismo moralista e inutile: il messaggio non chiede di essere poveri, ma anzi di “combattere la povertà”. La proposta del papa è invece quella di tener conto di essi come la misura dell’umanità delle nostre società.È la presenza dei poveri che ci dice quanto la globalizzazione stia andando nel verso giusto e quanto sta occludendo le coscienze, disinteressandoci del resto del mondo e accontentandoci di usare il nostro raggiunto benessere come una droga soporifera. “Solo la stoltezza può … indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado” (n. 14). Lo stuolo dei poveri e degli emarginati misura la stabilità o l’instabilità di una società. Basta vedere cosa succede alla Cina, dove lo sviluppo corrotto di pochi e l’abissale miseria di molti continua a provocare rivolte sociali che mettono a repentaglio tutti i successi decantati dal Partito comunista cinese in questi decenni.
Quanto succede in Cina (o in Grecia) può essere applicato a livello planetario. I poveri sono gli interlocutori del nostro modello di sviluppo, costruttori insieme ai ricchi di una società che possa vivere nella pace. Purtroppo, finora molti Stati e perfino le agenzie Onu sulla popolazione, preferiscono “combattere la povertà” eliminando anche fisicamente i poveri. Il Messaggio si sofferma sulla iniqua politica di controlli sulla popolazione (aborti, sterilizzazioni, aborti selettivi sulle bambine), mostrandone l’irrazionalità, dato che le Nazioni a maggior indice di sviluppo sono quelle più popolate: “In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà” (n. 3). Dunque è irrazionale l’eliminazione annua di 500 mila feti femminili in India, o l’aborto selettivo di 40 milioni di bambine negli ultimi 20 anni in Cina. Irrazionale è anche la corsa agli armamenti, la banalizzazione della lotta contro l’Aids, le speculazioni che creano la crisi alimentare mondiale (nn. 4-8).
Il Messaggio suggerisce che per accrescere la ricchezza e la pace, le Nazioni devono dare spazio ai poveri, “mettere i poveri al primo posto” dando loro voce in politica, dando loro spazio nell’economia, rendendoli attori partecipi dello sviluppo. La Chiesa e i missionari svolgono da secoli questa dinamica con le scuole, gli ospedali, le università aperti anche ai poveri.
Il papa giudica “illusorie” le politiche ideologiche di ridistribuzione della ricchezza, trasformatesi sempre in demagogici flop (basta pensare al Venezuela o allo Zimbabwe). E reputa “piatto”, senza profondità e spessore l’attuale sistema finanziario e le sue tecniche (nn. 10-12), che si preoccupa di creare ricchezze dal nulla, conducendo il pianeta al disastro attuale. Egli propone una rivoluzione “morale”: che ogni uomo si senta “personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse” (n. 8) e che i poveri possano “mettere a frutto la loro capacità di lavoro” (n. 14). Varrebbe la pena che queste consigli fossero seguiti da Paesi come gli Stati Uniti, dove si sta cercando di salvare l’economia coprendo solo i buchi abissali dei colossi finanziari in crisi. E che ascoltasse anche la Cina, dove ai poveri non si dà nemmeno il diritto di parlare.
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