mercoledì, settembre 03, 2008

Radio Vaticana - Non solo in India “i cristiani vivono nella paura e sono vittime della persecuzione religiosa”. Accade anche in Pakistan e a denunciarlo all’Opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS) è padre Emmanuel Asi, francescano cappuccino, parroco a Lahore e segretario della Commissione biblica cattolica del Paese. “Ancora oggi – racconta padre Asi – essere cristiani in Pakistan equivale a essere cittadini di serie B, ma nonostante questo essi vanno molto fieri della loro appartenenza religiosa”. In Pakistan, i cristiani appartengono spesso ai ceti sociali più disagiati e intere famiglie sono costrette a lavorare per i grandi proprietari terrieri. Senza contare, riporta il Sir, che ai cristiani è interdetto l’accesso a determinate professioni e perfino ai colloqui di lavoro. Il dialogo interreligioso è reso difficile anche dalle accuse di proselitismo rivolte ai cattolici. Negli ultimi due anni, informa ACS, c’è stato in Pakistan “un rilevante aumento degli attacchi nei confronti delle minoranze religiose”, realizzati sotto forma di “fatwa” (i verdetti emessi dai tribunali islamici che possono condannare a morte anche i non-musulmani), di rapimenti e di assalti ai luoghi di culto.
Lo strumento peggiore di persecuzione religiosa rimane la cosiddetta “legge sulla blasfemia”, che punisce le offese al Corano e la diffamazione del profeta Maometto con il carcere a vita o con la pena di morte. (S.G.)


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