venerdì, giugno 19, 2009
del nostro redattore Carlo Mafera

Qualche anno fa apparvero dei documenti riguardanti la convulsa cronaca diplomatica delle ultime settimane che precedettero l’inizio delle ostilità con l’Austria nella prima guerra mondiale. Appare evidente, dallo scambio epistolare tra i vari ambasciatori e tra questi e i politici italiani di allora, una precisa volontà da parte di questi ultimi di far precipitare le cose e di voler, con grande premeditazione, la guerra.

Certo è che l’atmosfera di quei mesi era molto conflittuale, in quanto, sia l’opinione pubblica sia il mondo politico , erano divisi tra interventisti e neutralisti; ma è altrettanto certo, ora che sono venuti alla luce questi documenti, che il Re e il Ministro degli Esteri Sonnino, senza dubbio le massime autorità per quanto riguardava le ultime decisioni, erano degli interventisti.

I fatti in breve si svolsero così: Furono condotte stranamente due parallele iniziative diplomatiche di cui una, quella nei confronti del governo di Londra era segreta in modo che l’altra, quella condotta con l’Austria, potesse svilupparsi positivamente. Gli ambasciatori di per sé furono in buona fede a condurre le trattative, ma c’è da chiedersi di chi fu la decisione, diciamo tutta “italiana” di percorrere nello stesso tempo due strade.

Comunque le trattative con Londra a favore dell’Intesa andarono in porto prima di quelle compiute a favore dell’Austria. Le concessioni di territori fatte da questa ultima a nostro favore furono molto ampie quando oramai la parola del Re e quella del Ministro degli Esteri, Sonnino erano state impegnate con Londra e per di più lo stesso Giolitti finse di non saperne nulla, per non far precipitare l’Italia in una guerra civile e salvare la dinastia dall’abdicazione.

Ci si domanda allora di come la politica venisse gestita in un modo “bestiale e poco leale”, per usare i termini del duca D’Avarna, ambasciatore d’Italia a Vienna all’epoca, e di come sarebbe potuta scoppiare una ribellione se solo il popolo avesse saputo che andava a combattere e farsi massacrare per territori che il nemico era disposto a concedere soltanto al prezzo della nostra neutralità.

Purtroppo prevalse l’emotività, che contò molto più della ragione e della maturità, e quindi come Stato adolescente, quale eravamo all’epoca, dovevamo dimostrare la nostra forza agli altri, spinti evidentemente da complessi di inferiorità, gli stessi che portarono all’entrata in guerra nel secondo conflitto mondiale.
Alla luce dei suddetti documenti si evince infatti che ciò che prevalse non fu la ragionevolezza, ma piuttosto l’intrigo politico, l’impuntatura di Sonnino, la parola data dal Re e la viltà di Giolitti e così il povero soldatino ci lasciò la pelle e di poveri soldatini, prevalentemente contadini e operai, ce ne furono ben seicentomila.

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