Don Bosco, il mondo del lavoro e la difesa dei giovani nel libro di Pierluigi Guiducci
di Carlo Mafera
Nella Torino pre-unitaria, in piena rivoluzione industriale, agisce un sacerdote che diventerà l’emblema dei difensori della gioventù. Don Giovanni Bosco è l’espressione massima di una tutela concreta, realizzata su un piano non solo umano e religioso ma anche amministrativo, sociale, politico e organizzativo. Don Bosco incarnava questo amore per i giovani in aiuti che avevano lo spirito di novità, di coraggio e di impegno sociale con delle iniziative precise, di grande intuizione e competenza. Così infatti dice Guiducci nella introduzione al suo libro edito da Elledici: “Don Bosco volle progressivamente realizzare un disegno di promozione umana con la costituzione di una società di mutuo soccorso (1850-51), con la stipula di contratti di apprendistato, con la promozione di laboratori di calzolai e sarti, legatori, falegnami, tipografi, fabbri ferrai…”.
Ne derivano due considerazioni: da una parte si può parlare di un Don Bosco segreto, dove ‘segreto’ non vuol dire nascosto ma ricco piuttosto di aspetti esistenziali che ancor oggi non conosciamo del tutto; dall’altra parte , la presenza di don Bosco in alcune iniziative legate al mondo del lavoro e il suo desiderio di non separare i valori religiosi da quelli civili non deve spingere a considerazioni insistenti su uno stile paternalistico e su un’impronta marcatamente clericale. Al contrario, è proprio studiando le carte del tempo presso Istituzioni pubbliche e private che si comprende un dato essenziale: don Bosco aiutava i suoi protetti sempre per un motivo chiaro preciso: in particolare i ragazzi, in assenza di una figura ‘autorevole’ a loro difesa, potevano essere oggetto di violenza e di esclusione, addirittura di morte prematura. Far riferimento “a quel prete di Valdocco” significava al contrario avere una garanzia.
Il libro si avvale dell'archivio della Congregazione Salesiana, che conserva alcuni documenti rari: un contratto di “apprendizzaggio” in carta semplice, datato novembre 1851; un secondo contratto, pure di “apprendizzaggio” , in carta bollata da centesimi 40, con data 8 febbraio 1852, ed altri datati intorno al 1855, già ben strutturati e quasi standardizzati in numeri e paragrafi. Tutti sono firmati dal datore di lavoro, dall'apprendista e da don Bosco. Il grande sacerdote di Valdocco fu uno dei primi ad utilizzare e a promuovere i contratti di apprendistato che fin allora erano completamente snobbati dai datori di lavoro. In queste scritture don Bosco obbliga i padroni a impiegare i giovani apprendisti solo nel loro mestiere, e non come servitori e sguatteri. Esige che le correzioni siano fatte solo a parole e non con le percosse. Si preoccupa della salute, del riposo festivo e delle ferie annuali. Ed esige uno stipendio “progressivo”, poiché il terzo e ultimo anno di apprendistato era in pratica un anno di vero lavoro. L'intuizione radicata e vissuta da don Bosco, quindi, è stata quella dell'educazione nel lavoro della gioventù, che egli vedeva come fattore fondamentale nella trasformazione sociale.
Da queste origini, la formazione professionale salesiana ha acquistato nel tempo respiro e ampiezza universale, collaudata dalle situazioni più disparate ed impegnative e innestata su un ricco patrimonio culturale e pedagogico.
Più di cento anni di storia di ‘formazione professionale salesiana’ sono stati riassunti in questo prezioso volume che sviluppa quindi un don Bosco più ‘sociale’ e capace di districarsi felicemente nelle nuove e dure realtà determinate dagli effetti perversi della rivoluzione industriale. Il prof. Pierluigi Guiducci documenta le tappe compiute da don Bosco e dai Salesiani e i diversi mezzi e sussidi realizzati per facilitare i progressi in questo campo: programmi scolastici e professionali, norme per l’organizzazione delle esposizioni professionali generali, orientamenti pedagogico-didattici per i maestri d’arte, riflessioni su educazione e formazione professionale. Ma soprattutto Guiducci mette in evidenza un don Bosco che “davanti a situazioni che offendevano la dignità dei giovani lavoratori … reagì in prima persona”. In un periodo storico in cui le decisioni economiche tendevano a ridurre lo spazio dei giovani nel mondo del lavoro, l’azione di don Bosco – conclude Guiducci - ripete un insegnamento che incoraggia: quello dell’iniziativa, della proposta, dell’ideazione di progetti fattibili e della tutela dei deboli.
di Carlo Mafera
Nella Torino pre-unitaria, in piena rivoluzione industriale, agisce un sacerdote che diventerà l’emblema dei difensori della gioventù. Don Giovanni Bosco è l’espressione massima di una tutela concreta, realizzata su un piano non solo umano e religioso ma anche amministrativo, sociale, politico e organizzativo. Don Bosco incarnava questo amore per i giovani in aiuti che avevano lo spirito di novità, di coraggio e di impegno sociale con delle iniziative precise, di grande intuizione e competenza. Così infatti dice Guiducci nella introduzione al suo libro edito da Elledici: “Don Bosco volle progressivamente realizzare un disegno di promozione umana con la costituzione di una società di mutuo soccorso (1850-51), con la stipula di contratti di apprendistato, con la promozione di laboratori di calzolai e sarti, legatori, falegnami, tipografi, fabbri ferrai…”.
Ne derivano due considerazioni: da una parte si può parlare di un Don Bosco segreto, dove ‘segreto’ non vuol dire nascosto ma ricco piuttosto di aspetti esistenziali che ancor oggi non conosciamo del tutto; dall’altra parte , la presenza di don Bosco in alcune iniziative legate al mondo del lavoro e il suo desiderio di non separare i valori religiosi da quelli civili non deve spingere a considerazioni insistenti su uno stile paternalistico e su un’impronta marcatamente clericale. Al contrario, è proprio studiando le carte del tempo presso Istituzioni pubbliche e private che si comprende un dato essenziale: don Bosco aiutava i suoi protetti sempre per un motivo chiaro preciso: in particolare i ragazzi, in assenza di una figura ‘autorevole’ a loro difesa, potevano essere oggetto di violenza e di esclusione, addirittura di morte prematura. Far riferimento “a quel prete di Valdocco” significava al contrario avere una garanzia.
Il libro si avvale dell'archivio della Congregazione Salesiana, che conserva alcuni documenti rari: un contratto di “apprendizzaggio” in carta semplice, datato novembre 1851; un secondo contratto, pure di “apprendizzaggio” , in carta bollata da centesimi 40, con data 8 febbraio 1852, ed altri datati intorno al 1855, già ben strutturati e quasi standardizzati in numeri e paragrafi. Tutti sono firmati dal datore di lavoro, dall'apprendista e da don Bosco. Il grande sacerdote di Valdocco fu uno dei primi ad utilizzare e a promuovere i contratti di apprendistato che fin allora erano completamente snobbati dai datori di lavoro. In queste scritture don Bosco obbliga i padroni a impiegare i giovani apprendisti solo nel loro mestiere, e non come servitori e sguatteri. Esige che le correzioni siano fatte solo a parole e non con le percosse. Si preoccupa della salute, del riposo festivo e delle ferie annuali. Ed esige uno stipendio “progressivo”, poiché il terzo e ultimo anno di apprendistato era in pratica un anno di vero lavoro. L'intuizione radicata e vissuta da don Bosco, quindi, è stata quella dell'educazione nel lavoro della gioventù, che egli vedeva come fattore fondamentale nella trasformazione sociale.
Da queste origini, la formazione professionale salesiana ha acquistato nel tempo respiro e ampiezza universale, collaudata dalle situazioni più disparate ed impegnative e innestata su un ricco patrimonio culturale e pedagogico.
Più di cento anni di storia di ‘formazione professionale salesiana’ sono stati riassunti in questo prezioso volume che sviluppa quindi un don Bosco più ‘sociale’ e capace di districarsi felicemente nelle nuove e dure realtà determinate dagli effetti perversi della rivoluzione industriale. Il prof. Pierluigi Guiducci documenta le tappe compiute da don Bosco e dai Salesiani e i diversi mezzi e sussidi realizzati per facilitare i progressi in questo campo: programmi scolastici e professionali, norme per l’organizzazione delle esposizioni professionali generali, orientamenti pedagogico-didattici per i maestri d’arte, riflessioni su educazione e formazione professionale. Ma soprattutto Guiducci mette in evidenza un don Bosco che “davanti a situazioni che offendevano la dignità dei giovani lavoratori … reagì in prima persona”. In un periodo storico in cui le decisioni economiche tendevano a ridurre lo spazio dei giovani nel mondo del lavoro, l’azione di don Bosco – conclude Guiducci - ripete un insegnamento che incoraggia: quello dell’iniziativa, della proposta, dell’ideazione di progetti fattibili e della tutela dei deboli.
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