Al via ieri ufficialmente le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, ricorrenza che vedrà, nel corso del 2011, la Penisola interessata da diverse manifestazioni
RadioVaticana - Per cominciare, è stata scelta Reggio Emilia, città che nel 1797 ha dato i natali al Tricolore, simbolo dell’unità. A visitare oggi i luoghi storici legati a questo evento, il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, con i sindaci delle città che sono state capitali: Firenze, Torino e Roma. A loro, il presidente della Repubblica ha consegnato la copia del primo Tricolore, inaugurando poi una mostra sul tema della bandiera. Nel suo intervento ancora una volta Napolitano ha ribadito il significato del Tricolore invitando la classe politica a partecipare ai festeggiamenti. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Giovanni Sabbatucci, ordinario di Storia Contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma.
R. – Penso che sarebbe strano se un Paese, una nazione, uno Stato non celebrasse date come questa. Nel caso dell’Italia, poi, esiste una tradizione, una letteratura di questo evento che non possono essere rimosse: possono essere invece riviste in modo critico e non esclusivamente celebrativo.
D. – E a proposito del Risorgimento, il capo dello Stato ha sollecitato un approccio che ponga in piena luce il decisivo avanzamento storico consentito all’Italia dalla nascita dello Stato nazionale. Fu, dunque, un avanzamento?
R. – Assolutamente sì! Un avanzamento decisivo e la premessa, soprattutto, per progressi ulteriori che indubbiamente ci sono stati; un avanzamento sul piano dell’avvicinamento ai modelli dell’Europa più progredita. E’ questo l’approccio giusto, piuttosto che celebrare le patrie battaglie, le sacre memorie, nel rispolverare le icone risorgimentali…
D. – I valori intorno a cui si è riunita l’Italia 150 anni fa, sono gli stessi di oggi?
R. – Assolutamente no! Una certa idea di patria e di nazione, tutta basata sui miti e sui valori del sangue, della parentela, è oggi inutilizzabile per un discorso democratico. Bisogna, però, anche aggiungere che l’unità d’Italia non si è fatta solo su questi miti nazional-patriottici, ma si è fatta anche su un progetto che era sostanzialmente un progetto liberale, costituzionale che conteneva un messaggio di libertà. Questa, secondo me, è la parte meno caduca, che ci sentiamo di dover difendere.
D. – Il presidente della Repubblica ha detto che il senso della storia dell’Italia unita è vivo tra la gente, e poi ha richiamato invece i politici e ha chiesto a tutti di partecipare a queste celebrazioni. Questo vuol dire che la gente non si è disaffezionata al concetto d’Italia unita, mentre la politica sì?
R. – Io non credo che ci sia una differenza così netta. Abbiamo avuto da parte dei politici manifestazioni di indifferenza, addirittura di ostilità e, in altri casi, un approccio un po’ distratto, superficiale. Non sopravvaluterei, però, neanche tutto questo entusiasmo popolare. Diciamo che c’è un atteggiamento complessivamente non negativo.
D. – Secondo lei, questi 150 anni che cosa hanno insegnato all’Italia, proprio per guardare avanti?
R. – Stando insieme e avendo delle istituzioni comuni e avendo delle istituzioni libere si può andare meglio, si può andare peggio, ma non si rischiano le catastrofi che invece i regimi autoritari hanno portato all’Italia e a tanti altri Paesi.
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