lunedì, dicembre 20, 2010
del nostro collaboratore Bartolo Salone

In questo periodo di attesa che è l’avvento, i fedeli sono chiamati a riflettere sul tema della venuta del Signore nel mondo, venuta che si articola in tre grandi momenti: la prima venuta a Betlemme nelle vesti di un umile infante, rievocata dalla festa del Natale; l’ultima venuta del Cristo, glorioso, quale giudice della storia, rievocata dalla solennità di Cristo re dell’universo, che non a caso chiude l’anno liturgico; infine, tra le due, la continua venuta di Gesù nella Chiesa e nell’anima dei fedeli, che caratterizza il tempo presente.

E’ proprio a questa costante venuta di Cristo nella storia che facciamo riferimento allorché, recitando il “Padre nostro”, pronunciamo l’invocazione: “Venga il tuo regno”. Il regno di Dio è una realtà in continua evoluzione, caratterizzata da un forte dinamismo, anche se discreta e, per certi aspetti, impercettibile, un po’ come il moto terrestre, di cui non ci accorgiamo se non quando il sole comincia a sorgere o a declinare.
Comunque è una realtà presente, di cui sovente non ci avvediamo proprio in ragione della sua perfetta compenetrazione con la vita di tutti giorni. Come disse anche Gesù ai farisei: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17, 21). Il regno di Dio non solo è presente, ma è anche in continua espansione, come più volte viene sottolineato nei vangeli attraverso diverse parabole, ed in special modo attraverso la parabola del granello di senapa: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio? Esso è come un granellino di senapa, che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene il più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra” (Mc 4, 30-32). Come non vedere dietro l’immagine del granello di senapa seminato sotto terra lo stesso Gesù, il quale, con la sua morte, sepoltura e resurrezione, dà origine ad un germoglio da cui trarrà vita un arbusto florido e ricco di frutti quale è la Chiesa, la quale con i suoi rami si è diffusa su tutta la terra, facendo miliardi e miliardi di fedeli in ogni tempo?
La realtà del regno si trova indubbiamente riflessa nella Chiesa: essa è il primo, basilare segno del regno di Dio. Nella Chiesa, quale popolo dei credenti in Cristo, il regno di Dio si esprime esteriormente e trova la sua molla propulsiva. E’ difficile, anzi impossibile, pensare la fede cristiana senza la Chiesa. Cosa ne sarebbe, infatti, del cristianesimo oggi, se non ci fosse la Chiesa ad annunciare la parola di Gesù, a riproporre costantemente il suo insegnamento? Se non ci fosse stata la Chiesa – dobbiamo ammetterlo – noi avremmo perso perfino il ricordo di Gesù: la sua figura si sarebbe perduta nei meandri della storia, oscura e dimenticata. Senza la Chiesa, l’opera e l’insegnamento di Gesù Cristo sarebbero morti con lui e non ci sarebbe stata quella che, anche secondo un filosofo contemporaneo certo non sospettabile di mire apologetiche quale fu Benedetto Croce, è stata senza dubbio la più grande rivoluzione di tutti i tempi, vale a dire il Cristianesimo. Sarà bene allora rammentare le parole pronunciate dal filosofo liberale nel suo celebre saggio “Perché non possiamo non dirci ‘cristiani’”, pubblicato nel 1942: “Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta … Tutte le altre rivoluzioni non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell’arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina e di quant’altro si deve all’Oriente e all’Egitto. E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo”. Quale la ragione della grandezza e del primato della rivoluzione cristiana rispetto a tutte le altre? “La ragione di ciò – continua il filosofo – è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità”.
Nella sua onestà intellettuale, Benedetto Croce non esita a riconoscere, contro gli stereotipi anticlericali di certo milieu liberale, l’importanza e l’insostituibilità che la Chiesa cattolica ha avuto nella propagazione della rivoluzione cristiana, così rispondendo alle accuse di corruttela che sovente le vengono rivolte: “Ogni istituto reca in sé il pericolo della corruttela, delle parti che usurpano la vita di tutto, dei motivi privati e utilitari che si sostituiscono a quelli morali, e ogni istituto soffre nel fatto queste vicende e di continuo si sforza di sorpassarle e di restituire le condizioni di sanità. Ciò accadde altresì, in modo meno scandaloso o più meschino, nelle chiese che contro la loro primogenita cattolica, gridandone la corruttela, si levarono, nelle varie confessioni evangeliche e protestanti. La chiesa cristiana cattolica, come è noto, anche nel corso del medioevo, giovandosi degli spiriti cristiani che spontanei rifiammeggiavano dentro o fuori dei suoi quadri, e contemperandoli al suo fine, si rinsanguò e si riformò tacitamente più volte”. Dunque, se da un lato sarebbe illusorio credere che le chiese protestanti siano pervenute ad un livello di moralità e di radicalità evangelica superiore rispetto a quello espresso nei secoli dalla Chiesa cattolica, dall’altro non si può non apprezzare, secondo il Nostro, la capacità di rinnovamento e di riforma interna che la Catholica ha sempre dimostrato di avere.
Dobbiamo ammettere che alla base del rifiuto e dell’opposizione alla Chiesa c. d. “istituzionale” (espressione invero poco felice, visto che l’istituzione-chiesa altro non è che un aspetto del mistero-Chiesa, che nella sostanza rimane unitario, non essendovi alcun dualismo tra la Chiesa quale popolo dei battezzati e la Chiesa-istituzione), anche da parte di alcuni credenti, vi è una sorta di idealismo frustrato, tipico di chi ricerca la perfezione in terra, dimentico della tragica realtà del peccato che tutti ci accomuna, uomini di chiesa e non. Di questo era ben consapevole lo stesso Cristo, il quale non ha inteso creare una comunità di puri o di giusti, bensì una comunità di peccatori protesi, col suo santo aiuto, alla santità, meta da raggiungere non necessariamente in questa vita. “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18): la Chiesa è continuamente sottoposta alle sollecitazioni del Maligno e tuttavia gode di una particolare protezione divina che la preserva dalla distruzione, consentendole di andare avanti, come fino ad ora ha sempre meravigliosamente fatto.
Il regno di Dio, di cui la Chiesa è segno e manifestazione, d’altronde, “è simile anche ad una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i buoni dai cattivi e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt 13, 47-50). Fino a che il regno di Dio non giungerà a piena maturazione, è inevitabile che i pesci buoni stiano nella rete con i cattivi. Che nella Chiesa ci siano delle mele marce non deve quindi destare scandalo: in una prospettiva di fede dovremmo caso mai meravigliarci del contrario.

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