L’aborto non può essere un diritto riconosciuto in base alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: è questo in sostanza un importante principio ribadito dalla Corte di Strasburgo con la pubblicazione ieri della sentenza su tre casi di donne residenti in Irlanda. La Corte però accoglie in parte l’istanza di una sola delle tre lamentando la poca chiarezza legislativa di Dublino.
RadioVaticana - La Corte di Strasburgo ribadisce il diritto alla vita come non era stato fatto prima e chiarisce che l’aborto può essere solo un’eccezione a questo diritto e non un diritto di per sé. Questo è il punto centrale. I casi in esame alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che fa capo al Consiglio d’Europa, erano tre, presentati contestualmente nel luglio 2005: tre donne, di cui due irlandesi e una lituana ma residente in Irlanda. Hanno fatto ricorso alla Corte lamentando violazioni di diritti umani in termini di disagi, spese eccessive, umiliazioni per il fatto di essere dovute andare all’estero per abortire, visto il divieto di farlo in Irlanda. In sostanza nei primi due casi la Corte ha rigettato la rivendicazione di un presunto diritto ad abortire nel proprio Paese. Anche se ci sono stati 11 voti contro e sei pro. Il terzo caso riguardava una donna malata di cancro che si era sottoposta a cure chemioterapiche controindicate in caso di gravidanza senza sapere di essere incinta e che rischiava, proseguendo la gravidanza, una recidiva del male, oltre a danni sul bimbo. In questo caso, all’unanimità, la Corte ha chiesto a Dublino di risarcire la donna di 15.000 euro ritenendo che non c’è opportuna chiarezza nella legislazione irlandese per il caso di donne che rischiano con una gravidanza la vita. Dunque, sostanzialmente i giudici di Strasburgo chiedono a Dublino di indicare inequivocabilmente (al momento ci sono la Costituzione e alcuni emendamenti diversamente interpretabili) quando una donna, la cui vita è seriamente messa in pericolo dalla gravidanza, possa interromperla legalmente. Resta da dire che la Corte ha deliberato su questi casi il 9 dicembre 2009 e che ieri ha pubblicato la sentenza, come di consuetudine contestualmente con le motivazioni. Inoltre, è interessante notare che per questi casi è stato deciso subito il ricorso diretto alla Camera Alta (17 giudici), ultima istanza, senza passare per la prima Camera. Ma per una valutazione approfondita di tutto il pronunciamento, abbiamo parlato con Grégor Puppinck, direttore generale del Centro Europeo per la giustizia e i diritti dell’uomo che ha sede a Strasburgo e che è tra le istituzioni o associazioni che in quanto ‘parti terze’ hanno presentato osservazioni su questi casi ai giudici:R. – Sì, è molto importante perché ha dato una risposta chiara. Molte persone, diverse lobbies, molti politici hanno tentato di fare pressione sulla Corte affinché creasse un diritto all’aborto, perché la maggior parte dei Paesi europei hanno legalizzato l’aborto. E questi gruppi sostenevano che, dato che quasi tutti i Paesi europei hanno legalizzato l’aborto, lo sparuto numero di Paesi tra cui Irlanda, Malta e Polonia che ancora lo vietano, dovrebbero essere costretti a legalizzarlo. Il concetto era quello di creare un “consenso”. Questi Paesi sostengono che in Europa c’è grande consenso nei riguardi dell’aborto in Europa, dunque tutti avrebbero il dovere di riconoscerlo al fine di avere una legislazione uguale. Da parte sua, la Corte ha detto chiaramente “no”. E dunque il fatto che in Europa ci sia largo consenso nei riguardi dell’aborto non avrà alcuna conseguenza sulla libertà dell’Irlanda, sulla sua sovranità nel proibire l’aborto. Un altro elemento positivo è che per la prima volta la Corte, la Camera alta della Corte, ha riconosciuto il concetto di “diritto alla vita” del bambino non nato. La Corte ha quindi ammesso che esiste un diritto alla vita del bambino non nato, mentre finora la Corte aveva sempre rifiutato di riconoscere tale diritto autonomamente. Prima, la Corte sosteneva che spettava agli Stati nazionali riconoscere o meno, garantire o meno, protezione della vita e tutela della vita del bambino non nato. Oggi la Corte ha ammesso che esiste un diritto alla vita del bambino non nato.
D. – Perché la Corte ha riconosciuto una violazione di diritto nel terzo caso, il caso della donna lituana residente in Irlanda?
R. – Per la Corte, il diritto alla vita del bambino non nato – un diritto autonomo e legittimo – non è però assoluto. La Corte ha affermato che in alcuni casi può essere legittimo limitare e bilanciare il diritto della vita del bambino non nato rispetto ad interessi in conflitto, come la vita o la salute della madre. Per la Corte, a volte è possibile o anche doveroso limitare tale diritto rispetto agli interessi o ai diritti di altre persone. C’è poi una seconda parte della sentenza, con la quale peraltro io sono in forte disaccordo, ed è quella per cui la Corte, nei riguardi specificatamente dell’Irlanda e non più del principio generale, ha affermato che l’Irlanda avrebbe dovuto trovare la strada, per questa terza richiedente, per sapere se la persona avesse i requisiti per essere autorizzata ad un aborto legale in Irlanda. Il governo irlandese, quindi, è stato accusato dalla Corte non per avere proibito l’aborto, ma perché la Corte ha considerato che l’Irlanda avrebbe dovuto informare la richiedente in merito ai requisiti richiesti per poter procedere ad un aborto legale. Infatti, la Corte di Strasburgo ha stabilito, basandosi su un’interpretazione di un articolo della Costituzione, che in Irlanda esiste un diritto all’aborto quando la vita della madre è in pericolo. Il punto è che questo in realtà non è molto chiaro e non c’è accordo sull’interpretazione della Costituzione irlandese. Insomma, per essere chiari: da un lato, la Corte ha affermato principi generali molto buoni che riguardano tutti gli Stati membri, e questo è molto positivo: no al diritto all’aborto e sì al diritto alla vita del bambino non nato. Dall’altro lato, la Corte ha interpretato – secondo me in maniera errata - la Costituzione irlandese in modo tale che l’Irlanda potrebbe essere invogliata a legalizzare l’aborto in termini più ampi, quando la vita della madre fosse a rischio.
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