Concessa l'autorizzazione da parte di Tel Aviv di consegnare ad alcune organizzazioni umanitarie materiali edili (si parla di alcune centinaia di tonnellate di cemento e di tubature d’acciaio) per tre o quattro progetti specifici.
Agenzia Misna - “Aprire i confini per consentire la ricostruzione, ma anche e soprattutto garantire alla popolazione una libertà di movimento negata, e fin troppo dimenticata”: è questo il gesto che ci si aspetterebbe nella Striscia di Gaza secondo Lino Zambrano, rappresentante del Cric (Centro regionale di intervento per la cooperazione), contattato dalla MISNA nella regione palestinese che sette mesi fa ha subito un pesante attacco israeliano. “Qui c’è ancora tutto da ricostruire, molta gente vive nelle tende o in piccole casupole erette con la tecnica del mattone a secco e i danni alle infrastrutture sono ancora tutti qui” aggiunge Zambrano, commentando la notizia, diffusa oggi, dell’autorizzazione da parte di Tel Aviv di consegnare ad alcune organizzazioni umanitarie materiali edili (si parla di alcune centinaia di tonnellate di cemento e di tubature d’acciaio) per tre o quattro progetti specifici.
“Le necessità della popolazione sono ben maggiori” dice il rappresentante dell’ong italiana, per il quale il provvedimento ha tutta l’aria di un ‘contentino’ dopo la mossa di alcuni gruppi nazionalisti israeliani, che in questi giorni hanno occupato illegalmente insediamenti con l'obiettivo di creare 11 nuove colonie in Cisgiordania. “Il grande problema della ricostruzione – gli ha fatto eco Rami Hamdona, un abitante di Gaza raggiunto telefonicamente dalla MISNA – è che i materiali, quasi introvabili, costano più dell’oro”. A causa dell’embargo imposto da Israele da oltre due anni, la maggior parte dei prodotti non alimentari giungono dall’Egitto attraverso i tunnel sotterranei scavati dai palestinesi. Pochi giorni fa, le Nazioni Unite e alcune ong avevano chiesto la revoca del blocco almeno per consentire riparazioni a 300 scuole danneggiate nei bombardamenti. Israele giustifica le sue reticenze sostenendo che i materiali potrebbero finire nelle mani di Hamas.
Agenzia Misna - “Aprire i confini per consentire la ricostruzione, ma anche e soprattutto garantire alla popolazione una libertà di movimento negata, e fin troppo dimenticata”: è questo il gesto che ci si aspetterebbe nella Striscia di Gaza secondo Lino Zambrano, rappresentante del Cric (Centro regionale di intervento per la cooperazione), contattato dalla MISNA nella regione palestinese che sette mesi fa ha subito un pesante attacco israeliano. “Qui c’è ancora tutto da ricostruire, molta gente vive nelle tende o in piccole casupole erette con la tecnica del mattone a secco e i danni alle infrastrutture sono ancora tutti qui” aggiunge Zambrano, commentando la notizia, diffusa oggi, dell’autorizzazione da parte di Tel Aviv di consegnare ad alcune organizzazioni umanitarie materiali edili (si parla di alcune centinaia di tonnellate di cemento e di tubature d’acciaio) per tre o quattro progetti specifici.“Le necessità della popolazione sono ben maggiori” dice il rappresentante dell’ong italiana, per il quale il provvedimento ha tutta l’aria di un ‘contentino’ dopo la mossa di alcuni gruppi nazionalisti israeliani, che in questi giorni hanno occupato illegalmente insediamenti con l'obiettivo di creare 11 nuove colonie in Cisgiordania. “Il grande problema della ricostruzione – gli ha fatto eco Rami Hamdona, un abitante di Gaza raggiunto telefonicamente dalla MISNA – è che i materiali, quasi introvabili, costano più dell’oro”. A causa dell’embargo imposto da Israele da oltre due anni, la maggior parte dei prodotti non alimentari giungono dall’Egitto attraverso i tunnel sotterranei scavati dai palestinesi. Pochi giorni fa, le Nazioni Unite e alcune ong avevano chiesto la revoca del blocco almeno per consentire riparazioni a 300 scuole danneggiate nei bombardamenti. Israele giustifica le sue reticenze sostenendo che i materiali potrebbero finire nelle mani di Hamas.
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