Nell’incontro internazionale di Roma è stato affrontato in particolare il problema dei bambini soldato e la necessità di costruire un ambiente protettivo per i bambini durante i conflitti.
Radio Vaticana - Si è tenuto ieri a Roma, alla presenza della rappresentante speciale del segretario generale dell'Onu per i bambini e i conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e del ministro degli Esteri, Franco Frattini, l’incontro internazionale “Bambini e giovani colpiti dai conflitti armati: ascoltare, capire, agire”. Promosso dall’Unicef e da Save The Children, in collaborazione con il Dipartimento delle Nazioni Unite per le operazioni di peace-keeping, l’incontro ha esaminato il dramma - in allarmante crescita - dei bambini soldato. All'impegno dell'Onu per questa problematica è andato anche l'incoraggiamento di Benedetto XVI, oggi all'udienza generale. Il servizio di Roberta Rizzo (ascolta):
Bambini strappati alle loro famiglie e gettati sui campi di battaglia. Adolescenti che impugnano le armi, ragazzini di 12, 13 anni e perfino più piccoli che non hanno altra scelta, se non quella di combattere in una delle tante guerre civili che si consumano in ogni parte del mondo. A raccontare la loro storia è proprio un ex bambina soldato, originaria dell’Uganda, Grace Akallo, che ha portato la sua testimonianza all’incontro internazionale sui giovani vittime dei conflitti armati:
“I escaped after seven month in captivity… Sono fuggita dopo sette anni di prigionia. L’unica persona che ha cercato di aiutarci è stata sorella Rachele che è stata quasi uccisa per averci difeso e per aver mantenuto la sua posizione. Dopo sette mesi sono riuscita a scappare e sorella Rachele mi ha raccolta nella stessa scuola che frequentavo prima della prigionia e mi ha aiutata a superare quei momenti difficili che stavo passando”.
Grace oggi è cofondatrice della rete di ex ragazzi soldato, il "Network of Young People Affected by War", che ha realizzato una mostra fotografica visibile a Roma in questi giorni in Campidoglio per denunciare un dramma in costante crescita, come spiega Marta Santa Santos Pais, direttore del Centro ricerca innocenti Unicef: “E’ importante aiutarli a uscire da questo orrore e assicurare un’assistenza a quei bambini che si trovano ancora in 42 Paesi per conflitti armati”. Secondo le stime delle Nazioni Unite e di Save the Children, sono 250 mila i bambini che in varie parti del mondo vengono impiegati nei conflitti armati come soldati, spie o schiavi sessuali. La Comunità internazionale ha messo a punto una solida base legale affinché i responsabili delle più atroci violazioni contro i bambini vengano portati a giudizio, come spiega Radhika Coomaraswamy, il rappresentante speciale del segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati:
“I think the international community… Penso che le Nazioni Unite stiano intervenendo in due modi fondamentali: primo, punendo i colpevoli come forma di deterrenza. Secondo, attraverso la protezione dell’infanzia così da garantire dei servizi sociali. Il Consiglio di sicurezza si incontrerà ogni due mesi per discutere sulle diverse situazioni di conflitto e di reclutamento dei bambini, poi ci sarà un crescente sforzo della comunità internazionale, ci si augura, per raccogliere fondi, per aiutare la reintegrazione dei bambini”.
La riabilitazione e la reintegrazione sono passaggi decisivi per spezzare il ciclo di violenza e impedire che i bambini vengano nuovamente reclutati.
Radio Vaticana - Si è tenuto ieri a Roma, alla presenza della rappresentante speciale del segretario generale dell'Onu per i bambini e i conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e del ministro degli Esteri, Franco Frattini, l’incontro internazionale “Bambini e giovani colpiti dai conflitti armati: ascoltare, capire, agire”. Promosso dall’Unicef e da Save The Children, in collaborazione con il Dipartimento delle Nazioni Unite per le operazioni di peace-keeping, l’incontro ha esaminato il dramma - in allarmante crescita - dei bambini soldato. All'impegno dell'Onu per questa problematica è andato anche l'incoraggiamento di Benedetto XVI, oggi all'udienza generale. Il servizio di Roberta Rizzo (ascolta):Bambini strappati alle loro famiglie e gettati sui campi di battaglia. Adolescenti che impugnano le armi, ragazzini di 12, 13 anni e perfino più piccoli che non hanno altra scelta, se non quella di combattere in una delle tante guerre civili che si consumano in ogni parte del mondo. A raccontare la loro storia è proprio un ex bambina soldato, originaria dell’Uganda, Grace Akallo, che ha portato la sua testimonianza all’incontro internazionale sui giovani vittime dei conflitti armati:
“I escaped after seven month in captivity… Sono fuggita dopo sette anni di prigionia. L’unica persona che ha cercato di aiutarci è stata sorella Rachele che è stata quasi uccisa per averci difeso e per aver mantenuto la sua posizione. Dopo sette mesi sono riuscita a scappare e sorella Rachele mi ha raccolta nella stessa scuola che frequentavo prima della prigionia e mi ha aiutata a superare quei momenti difficili che stavo passando”.
Grace oggi è cofondatrice della rete di ex ragazzi soldato, il "Network of Young People Affected by War", che ha realizzato una mostra fotografica visibile a Roma in questi giorni in Campidoglio per denunciare un dramma in costante crescita, come spiega Marta Santa Santos Pais, direttore del Centro ricerca innocenti Unicef: “E’ importante aiutarli a uscire da questo orrore e assicurare un’assistenza a quei bambini che si trovano ancora in 42 Paesi per conflitti armati”. Secondo le stime delle Nazioni Unite e di Save the Children, sono 250 mila i bambini che in varie parti del mondo vengono impiegati nei conflitti armati come soldati, spie o schiavi sessuali. La Comunità internazionale ha messo a punto una solida base legale affinché i responsabili delle più atroci violazioni contro i bambini vengano portati a giudizio, come spiega Radhika Coomaraswamy, il rappresentante speciale del segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati:
“I think the international community… Penso che le Nazioni Unite stiano intervenendo in due modi fondamentali: primo, punendo i colpevoli come forma di deterrenza. Secondo, attraverso la protezione dell’infanzia così da garantire dei servizi sociali. Il Consiglio di sicurezza si incontrerà ogni due mesi per discutere sulle diverse situazioni di conflitto e di reclutamento dei bambini, poi ci sarà un crescente sforzo della comunità internazionale, ci si augura, per raccogliere fondi, per aiutare la reintegrazione dei bambini”.
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