In questa prima puntata della lunga intervista alla storica firma del Manifesto e di Micromega, tra i più raffinati analisti politici internazionali, la cronaca, con la morte di Fidel Castro, ed un viaggio alle radici della crisi del sistema americano.
La cronaca ci ha mostrato molti sconvolgimenti dall'ultima volta in cui abbiamo avuto ospite Marco D'Eramo. Allora era caduta Dilma Rousseff, in Brasile, la scorsa settimana, invece, la morte di Fidel Castro a Cuba. Il mondo ha perso una delle figure più rappresentative del XX secolo, un simbolo dell'età postcoloniale e della Guerra Fredda. Una storia complessa che non può essere giudicata, come colpevolmente si è cercato di fare, nel giro di pochi giorni. Ma di fatto, come ricorda il nostro ospite, Castro politicamente era già "morto": "come quei potenti mantenuti vivi al di là della loro vita stessa".
Se la morte del Leader Maximo non cambierà nulla nel divenire dei rapporti fra il colosso statunitense e la piccola isola caraibica, sarà l’impronta di Donald Trump a scatenare la curiosità dei più. Che ne sarà della politica estera obamiana? E i trattati internazionali (importante quello con l’Iran)?
"Trump ha dimostrato che è, anzitutto, un uomo d'affari" entrato in una politica in cui non ci sono nemici nè amici: "Ci sono unioni di convenienza e scontri di convenienza". Quindi niente vale davvero, ciò che si dice in una campagna elettorale, può essere smentito il giorno dopo. Il tutto, però, con una forza verbale assai forte, perché forti erano stati i toni del tycoon newyorkese. La domanda presuppone, però, un punto centrale, che discutiamo in questa prima puntata dell’intervista col noto giornalista e scrittore: da dove nasce la vittoria di Trump?
Non solo, Trump infatti non è il primo candidato vittorioso non in linea con la storia politica americana, pensiamo allo stesso Obama (primo presidente di colore), a Romney (un mormone), alla Clinton (una donna). In che modo il sistema americano riflette "una crisi profondissima che riguarda tutto l'assetto economico sociale del sistema capitalistico avanzato"?
Intervista di Lorenzo Carchini
La cronaca ci ha mostrato molti sconvolgimenti dall'ultima volta in cui abbiamo avuto ospite Marco D'Eramo. Allora era caduta Dilma Rousseff, in Brasile, la scorsa settimana, invece, la morte di Fidel Castro a Cuba. Il mondo ha perso una delle figure più rappresentative del XX secolo, un simbolo dell'età postcoloniale e della Guerra Fredda. Una storia complessa che non può essere giudicata, come colpevolmente si è cercato di fare, nel giro di pochi giorni. Ma di fatto, come ricorda il nostro ospite, Castro politicamente era già "morto": "come quei potenti mantenuti vivi al di là della loro vita stessa".
Se la morte del Leader Maximo non cambierà nulla nel divenire dei rapporti fra il colosso statunitense e la piccola isola caraibica, sarà l’impronta di Donald Trump a scatenare la curiosità dei più. Che ne sarà della politica estera obamiana? E i trattati internazionali (importante quello con l’Iran)?
"Trump ha dimostrato che è, anzitutto, un uomo d'affari" entrato in una politica in cui non ci sono nemici nè amici: "Ci sono unioni di convenienza e scontri di convenienza". Quindi niente vale davvero, ciò che si dice in una campagna elettorale, può essere smentito il giorno dopo. Il tutto, però, con una forza verbale assai forte, perché forti erano stati i toni del tycoon newyorkese. La domanda presuppone, però, un punto centrale, che discutiamo in questa prima puntata dell’intervista col noto giornalista e scrittore: da dove nasce la vittoria di Trump?
Non solo, Trump infatti non è il primo candidato vittorioso non in linea con la storia politica americana, pensiamo allo stesso Obama (primo presidente di colore), a Romney (un mormone), alla Clinton (una donna). In che modo il sistema americano riflette "una crisi profondissima che riguarda tutto l'assetto economico sociale del sistema capitalistico avanzato"?
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