Con un provvedimento applicato solo ora ma che viene da lontano, ai nordcoreani è negato chiamare i propri figlio come il leader del regime, Kim Jong-un. Questo vale anche solo per il nome proprio Jong-un, non preceduto dal nome di famiglia. A comunicarlo l’agenzia d’informazioni sudcoreana Yonhap che cita un documento ufficiale del Nord.
Misna - Non sono note le ragioni per cui il provvedimento sia diventato effettivo solo ora, ma prima ancora della sua ascesa al potere nel gennaio 2011, appena nominato successore dal padre Kim Jong-il che doveva morire nel dicembre dello stesso anno, il giovano Kim Jong-un divenne oggetto di una direttiva, “ordine amministrativo”, inviata a tutti i funzionari di partito, delle forze armate e della polizia. Nel documento veniva ordinato di proibire ai 25 milioni di nordcoreani di portare il nome del futuro capo dello stato (che non ha questo titolo in quanto il ruolo di “presidente eterno” è assegnato al nonno, capostipite della dinastia). Una prassi comune, per i leader che si sono finora succeduti nell’unica dinastia comunista al mondo. Da tempo sono infatti vietati i nomi Il-sung e Jong-il, isolati o associati al patronimico Kim.
Una situazione che nel tempo e anche ora prevede la revisione dei documenti ufficiali incluse le tessere della sicurezza sociale e i diplomi scolastici. Nessun certificato di nascita può essere rilasciato a nome Jong-un e, secondo un disertore nordcoreano fuggito al Sud, è anche proibito discutere del provvedimento e delle sue ragioni.
Il ministero perla Riunificazione sudcoreano non ha commentato le notizie d’agenzia per non innalzare ulteriormente la tensione con il Nord, ma per gli osservatori il provvedimento rientra nel culto della personalità della dinastia, al potere da sessant’anni senza oppositori apparenti.
Misna - Non sono note le ragioni per cui il provvedimento sia diventato effettivo solo ora, ma prima ancora della sua ascesa al potere nel gennaio 2011, appena nominato successore dal padre Kim Jong-il che doveva morire nel dicembre dello stesso anno, il giovano Kim Jong-un divenne oggetto di una direttiva, “ordine amministrativo”, inviata a tutti i funzionari di partito, delle forze armate e della polizia. Nel documento veniva ordinato di proibire ai 25 milioni di nordcoreani di portare il nome del futuro capo dello stato (che non ha questo titolo in quanto il ruolo di “presidente eterno” è assegnato al nonno, capostipite della dinastia). Una prassi comune, per i leader che si sono finora succeduti nell’unica dinastia comunista al mondo. Da tempo sono infatti vietati i nomi Il-sung e Jong-il, isolati o associati al patronimico Kim.
Una situazione che nel tempo e anche ora prevede la revisione dei documenti ufficiali incluse le tessere della sicurezza sociale e i diplomi scolastici. Nessun certificato di nascita può essere rilasciato a nome Jong-un e, secondo un disertore nordcoreano fuggito al Sud, è anche proibito discutere del provvedimento e delle sue ragioni.
Il ministero perla Riunificazione sudcoreano non ha commentato le notizie d’agenzia per non innalzare ulteriormente la tensione con il Nord, ma per gli osservatori il provvedimento rientra nel culto della personalità della dinastia, al potere da sessant’anni senza oppositori apparenti.
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