GreenReport - Potrebbe essere durata pochissimo, anzi potrebbe non essere mai cominciata, la democrazia che credevamo di aver importato in Libia con i cacciabombardieri Nato (e italiani) e le armi delle monarchie assolute del Golfo.
di Umberto Mazzantini
Stanotte il colonnello Mukhtar Fernana, a capo della polizia libica ha ordinato lo scioglimento del Parlamento ad interim, il Congresso Nazionale Generale, e di espellere i “terroristi” dalla capitale Tripoli. «Noi, membri dell’esercito e rivoluzionari annunciamo la sospensione del Cng» ha detto Fernana, spiegando che i capi dell’esercito libico hanno deciso che un’Assemblea costituzionale debba assumere i poteri del Parlamento. Nel pomeriggio di domenica un gruppo armato guidato dal generale in pensione Khalifa Haftar aveva dato l’assalto al parlamento libico per interrompere una seduta. Poi ci sono stati scontri a fuoco sia accanto al palazzo del Parlamento che sulla strada che porta all’aeroporto internazionale di Tripoli, con almeno due morti e più di 60 feriti.
Fernana ha detto che l’attacco al parlamento non è stato un colpo di stato, ma «Un modo corretto di seguire lo spirito rivoluzionario. Annunciamo a tutti che il Paese non può essere un focolaio o un incubatore per il terrorismo». Parole che riecheggiano, quelle di Fernana, con il suo auto-proclamato “Esercito nazionale”, che il 16 maggio ha lanciato un’offensiva contro Bengasi, la seconda città della Libia e culla della rivoluzione “democratica” finanziata ed armata da occidentali, sauditi e qatariani, per bonificarla dai ” terroristi” che hanno contribuito a far cadere il regime di Muammar Gheddafi. Il governo ad interim della Libia ha definito l’azione di Haftar come un «Colpo di stato», ma è chiaro che la Libia, comunque vada il golpe, è nel caos e che si tratta dell’ennesimo e clamoroso fallimento di una politica occidentale che, con la scusa di esportare la democrazia, vuole mettere le mani su petrolio e gas e che invece finisce per creare caos e consegnare le risorse energetiche in mano a bande armate tribali e religiose che niente hanno a che vedere con la democrazia.
Il ministro della giustizia libico Salah Al-Marghani ha detto che gli scontri armati a Tripoli «Non hanno alcun collegamento reale», con l’offensiva lanciata da Haftar contro gli islamisti di Bengasi, ma è evidente che é un governo che non riesce ad impedire una vera e propria guerra che non ha nessun controllo reale della situazione e che il nuovo premier Ahmed Miitig, considerato vicino ai partiti integralisti musulmani, non ha alcun reale potere per impedire che il caos aumenti. L’assurdità della situazione è riassumibile con l’istituzione di una no-fly zone su Bengasi, come ai bei tempi dei bombardamenti Nato contro Gheddafi, per tentare di porre fine all’assalto dell’esercito di Khalifa Haftar alla città, dove le vittime si contano già a decine ed i feriti a centinaia.
I miliziani di Haftar hanno bombardato le basi dei militanti islamisti di Ansar Al-Sharia e della Brigata 17 febbraio con aerei ed elicotteri che evidentemente provengono dalle caserme libiche, però l’esercito e l’aviazione negano qualsiasi coinvolgimento, o almeno lo negavano fino al tentato colpo di Stato di stanotte.
Il 17 maggio le milizie di Haftar si sono in gran parte ritirate da Bengasi, probabilmente su richiesta dei militari che si apprestavano ad occupare il parlamento di Tripoli, ma circondano ancora la città ed hanno chiesto agli abitanti di evacuare il sud di Bengasi perché si apprestano a bombardare con gli arerei alcuni obiettivi mirati delle milizie integraliste.
La confusione nella nostra ex colonia è totale: il Capo di Stato maggiore libico, Abdessalem Jadallah al-Salihin, ha annunciato che l’esercito «Si oppone ad ogni gruppo armato che cerca di controllare Bengasi con la forza armata», ma gli scontri tra le varie fazioni libiche sono ormai i più violenti dalla caduta di Gheddafi e il golpe e la guerra scatenata da Haftar potrebbero essere sostenuti sia da alcuni potenti capi tribù che dai separatisti dell’est della Libia che si sono visti spodestati dalle milizie integraliste islamiche jiadiste e con collegamenti con Al Qaeda.
Non c’è che dire, la guerra contro Gheddafi ha dato proprio dei buoni risultati… e la democrazia che dovevamo portare alla Libia si è trasformata in un incubo sanguinario, con tanti piccoli Gheddafi che si combattono per mettere le mani sul petrolio e il gas da rivedere ai “liberatori” occidentali, a cominciare dall’Italia.
di Umberto Mazzantini
Stanotte il colonnello Mukhtar Fernana, a capo della polizia libica ha ordinato lo scioglimento del Parlamento ad interim, il Congresso Nazionale Generale, e di espellere i “terroristi” dalla capitale Tripoli. «Noi, membri dell’esercito e rivoluzionari annunciamo la sospensione del Cng» ha detto Fernana, spiegando che i capi dell’esercito libico hanno deciso che un’Assemblea costituzionale debba assumere i poteri del Parlamento. Nel pomeriggio di domenica un gruppo armato guidato dal generale in pensione Khalifa Haftar aveva dato l’assalto al parlamento libico per interrompere una seduta. Poi ci sono stati scontri a fuoco sia accanto al palazzo del Parlamento che sulla strada che porta all’aeroporto internazionale di Tripoli, con almeno due morti e più di 60 feriti.
Fernana ha detto che l’attacco al parlamento non è stato un colpo di stato, ma «Un modo corretto di seguire lo spirito rivoluzionario. Annunciamo a tutti che il Paese non può essere un focolaio o un incubatore per il terrorismo». Parole che riecheggiano, quelle di Fernana, con il suo auto-proclamato “Esercito nazionale”, che il 16 maggio ha lanciato un’offensiva contro Bengasi, la seconda città della Libia e culla della rivoluzione “democratica” finanziata ed armata da occidentali, sauditi e qatariani, per bonificarla dai ” terroristi” che hanno contribuito a far cadere il regime di Muammar Gheddafi. Il governo ad interim della Libia ha definito l’azione di Haftar come un «Colpo di stato», ma è chiaro che la Libia, comunque vada il golpe, è nel caos e che si tratta dell’ennesimo e clamoroso fallimento di una politica occidentale che, con la scusa di esportare la democrazia, vuole mettere le mani su petrolio e gas e che invece finisce per creare caos e consegnare le risorse energetiche in mano a bande armate tribali e religiose che niente hanno a che vedere con la democrazia.
Il ministro della giustizia libico Salah Al-Marghani ha detto che gli scontri armati a Tripoli «Non hanno alcun collegamento reale», con l’offensiva lanciata da Haftar contro gli islamisti di Bengasi, ma è evidente che é un governo che non riesce ad impedire una vera e propria guerra che non ha nessun controllo reale della situazione e che il nuovo premier Ahmed Miitig, considerato vicino ai partiti integralisti musulmani, non ha alcun reale potere per impedire che il caos aumenti. L’assurdità della situazione è riassumibile con l’istituzione di una no-fly zone su Bengasi, come ai bei tempi dei bombardamenti Nato contro Gheddafi, per tentare di porre fine all’assalto dell’esercito di Khalifa Haftar alla città, dove le vittime si contano già a decine ed i feriti a centinaia.
I miliziani di Haftar hanno bombardato le basi dei militanti islamisti di Ansar Al-Sharia e della Brigata 17 febbraio con aerei ed elicotteri che evidentemente provengono dalle caserme libiche, però l’esercito e l’aviazione negano qualsiasi coinvolgimento, o almeno lo negavano fino al tentato colpo di Stato di stanotte.
Il 17 maggio le milizie di Haftar si sono in gran parte ritirate da Bengasi, probabilmente su richiesta dei militari che si apprestavano ad occupare il parlamento di Tripoli, ma circondano ancora la città ed hanno chiesto agli abitanti di evacuare il sud di Bengasi perché si apprestano a bombardare con gli arerei alcuni obiettivi mirati delle milizie integraliste.
La confusione nella nostra ex colonia è totale: il Capo di Stato maggiore libico, Abdessalem Jadallah al-Salihin, ha annunciato che l’esercito «Si oppone ad ogni gruppo armato che cerca di controllare Bengasi con la forza armata», ma gli scontri tra le varie fazioni libiche sono ormai i più violenti dalla caduta di Gheddafi e il golpe e la guerra scatenata da Haftar potrebbero essere sostenuti sia da alcuni potenti capi tribù che dai separatisti dell’est della Libia che si sono visti spodestati dalle milizie integraliste islamiche jiadiste e con collegamenti con Al Qaeda.
Non c’è che dire, la guerra contro Gheddafi ha dato proprio dei buoni risultati… e la democrazia che dovevamo portare alla Libia si è trasformata in un incubo sanguinario, con tanti piccoli Gheddafi che si combattono per mettere le mani sul petrolio e il gas da rivedere ai “liberatori” occidentali, a cominciare dall’Italia.
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