Nove anni fa moriva il papa che ha impresso una nuova dimensione pubblica al papato e che ci ha avvicinati al concetto di santità grazie anche a quella capacità di contemperare la dottrina con le esigenze della modernità.
di Elisabetta Lo Iacono
Ripensare oggi al pontificato di Giovanni Paolo II significa guardare lontano e non solo in senso temporale. Era il 16 ottobre del 1978 quando fu eletto e da quel giorno cominciò una rivoluzione improntata alla fermezza dei valori e alla dolcezza dei sentimenti: via i regimi totalitari contro i quali Karol Wojtyla frappose tutta la sua energia morale e porte aperte, anzi spalancate, a Cristo e quindi a ogni uomo.
Un papa che si è voluto spesso ritrarre con connotazioni politiche ma che, in realtà, ha sempre portato avanti i valori di una Chiesa chiamata - piuttosto - di epoca in epoca a fronteggiare le emergenze del momento storico che sta vivendo. Di sicuro Giovanni Paolo II è il papa che ha aperto le porte del Vaticano agli sguardi del mondo, non per saziare una curiosità lunga secoli ma per dimostrare la normalità e persino la fragilità di un papa. Il tempo rappresenta un irrinunciabile ausilio per guardare con la dovuta prospettiva a eventi e personaggi che, con la loro statura, si sono levati su decenni di storia.
Uno dei bilanci decisamente in attivo, con rendite riscontrabili nell'oggi, è quello relativo alla sua spiccata dote di comunicare e, quindi, di far arrivare in modo efficace i messaggi evangelici. Giovanni Paolo II è un papa della contemporaneità che ha parlato diffusamente del concetto di santità, incarnandone quei presupposti che hanno spinto i fedeli a chiederne la canonizzazione, il giorno stesso del funerale.
Quei ripetuti inviti a "diventare santi" oggi, nella quotidianità e nella modernità, hanno traghettato il senso comune dalle vecchie e ingiallite immagini dei santini, spesso in bianco e nero, a uomini e donne "a colori", capaci di declinare quei valori nelle sfide di ogni giorno, come ha ricordato in decine e decine di messaggi, come in quello per la Giornata mondiale della gioventù del 1998:
"Diventare santi sembra un traguardo arduo, riservato a persone del tutto eccezionali, o adatto a chi voglia rimanere estraneo alla vita e alla cultura della propria epoca. Diventare santi invece è dono e compito radicato nel battesimo e nella confermazione, affidato a tutti nella Chiesa, in ogni tempo. È dono e compito dei laici come dei religiosi e dei sacri ministri, nella sfera privata come nell'impegno pubblico, nella vita dei singoli come delle famiglie e delle comunità".
Papa Wojtyla è passato in brevissimo tempo da nostro contemporaneo a santo, permettendo a ognuno di aver incontrato - fisicamente o virtualmente - il suo sguardo e le sue parole.
Non a caso da quel 2 aprile di nove anni fa è iniziato un fenomeno senza precedenti di devozione ma anche di comunicazione: milioni di lettere e bigliettini sono stati deposti alla sua tomba, proseguendo così un dialogo improntato a quell'amore capace di travalicare ogni ostacolo, persino quello della morte.
Una comunicazione che è comunione, sospesa tra gioie e problemi della quotidianità e tra i grandi dubbi e speranze della fede. Un dialogo ininterrotto che ho raccontato, nelle sue varie sfaccettature, nel libro "Caro Signor Papa - Cosa scrivono i fedeli a Giovanni Paolo II" (Edizioni Messaggero Padova, 2010). Un "seme di immortalità" - come ebbe a definirlo il cardinale Joseph Ratzinger durante le esequie dell'8 aprile - che costituisce una presenza e una testimonianza nei momenti di buio, portando quella luce che serve a illuminare i nostri traballanti passi su quei percorsi praticabili non solo per i "geni" della santità ma adatti a ciascuno.
"Torre dei Venti", il blog di Elisabetta Lo Iacono
di Elisabetta Lo Iacono
Ripensare oggi al pontificato di Giovanni Paolo II significa guardare lontano e non solo in senso temporale. Era il 16 ottobre del 1978 quando fu eletto e da quel giorno cominciò una rivoluzione improntata alla fermezza dei valori e alla dolcezza dei sentimenti: via i regimi totalitari contro i quali Karol Wojtyla frappose tutta la sua energia morale e porte aperte, anzi spalancate, a Cristo e quindi a ogni uomo.
Un papa che si è voluto spesso ritrarre con connotazioni politiche ma che, in realtà, ha sempre portato avanti i valori di una Chiesa chiamata - piuttosto - di epoca in epoca a fronteggiare le emergenze del momento storico che sta vivendo. Di sicuro Giovanni Paolo II è il papa che ha aperto le porte del Vaticano agli sguardi del mondo, non per saziare una curiosità lunga secoli ma per dimostrare la normalità e persino la fragilità di un papa. Il tempo rappresenta un irrinunciabile ausilio per guardare con la dovuta prospettiva a eventi e personaggi che, con la loro statura, si sono levati su decenni di storia.
Uno dei bilanci decisamente in attivo, con rendite riscontrabili nell'oggi, è quello relativo alla sua spiccata dote di comunicare e, quindi, di far arrivare in modo efficace i messaggi evangelici. Giovanni Paolo II è un papa della contemporaneità che ha parlato diffusamente del concetto di santità, incarnandone quei presupposti che hanno spinto i fedeli a chiederne la canonizzazione, il giorno stesso del funerale.
Quei ripetuti inviti a "diventare santi" oggi, nella quotidianità e nella modernità, hanno traghettato il senso comune dalle vecchie e ingiallite immagini dei santini, spesso in bianco e nero, a uomini e donne "a colori", capaci di declinare quei valori nelle sfide di ogni giorno, come ha ricordato in decine e decine di messaggi, come in quello per la Giornata mondiale della gioventù del 1998:
"Diventare santi sembra un traguardo arduo, riservato a persone del tutto eccezionali, o adatto a chi voglia rimanere estraneo alla vita e alla cultura della propria epoca. Diventare santi invece è dono e compito radicato nel battesimo e nella confermazione, affidato a tutti nella Chiesa, in ogni tempo. È dono e compito dei laici come dei religiosi e dei sacri ministri, nella sfera privata come nell'impegno pubblico, nella vita dei singoli come delle famiglie e delle comunità".
Papa Wojtyla è passato in brevissimo tempo da nostro contemporaneo a santo, permettendo a ognuno di aver incontrato - fisicamente o virtualmente - il suo sguardo e le sue parole.
Non a caso da quel 2 aprile di nove anni fa è iniziato un fenomeno senza precedenti di devozione ma anche di comunicazione: milioni di lettere e bigliettini sono stati deposti alla sua tomba, proseguendo così un dialogo improntato a quell'amore capace di travalicare ogni ostacolo, persino quello della morte.
Una comunicazione che è comunione, sospesa tra gioie e problemi della quotidianità e tra i grandi dubbi e speranze della fede. Un dialogo ininterrotto che ho raccontato, nelle sue varie sfaccettature, nel libro "Caro Signor Papa - Cosa scrivono i fedeli a Giovanni Paolo II" (Edizioni Messaggero Padova, 2010). Un "seme di immortalità" - come ebbe a definirlo il cardinale Joseph Ratzinger durante le esequie dell'8 aprile - che costituisce una presenza e una testimonianza nei momenti di buio, portando quella luce che serve a illuminare i nostri traballanti passi su quei percorsi praticabili non solo per i "geni" della santità ma adatti a ciascuno.
"Torre dei Venti", il blog di Elisabetta Lo Iacono
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