Benedetto XVI: no a
speculazioni, la rinuncia è libera e valida
Non sarà probabilmente l'ultima parola sulla singolare questione, dato che la mamma di complottisti e dietrologi è sempre incinta. Sicuramente però è la più autorevole spesa finora a proposito della singolare “coabitazione” dentro le mura vaticane di due papi, di cui uno senza aggettivi annessi, l'altro “emerito”, è stato deciso che si chiami, giacché in piena libertà e consapevolezza ha rinunciato al pontificato.
La parola, per l'appunto è quella del secondo, Benedetto XVI, interpellato per iscritto dal vaticanista Andrea Tornielli de La Stampa: “non c'è il minimo dubbio”, ha scritto i giorni scorsi in risposta ad una missiva del giornalista, “circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino”, il cui primo anniversario ricorreva per inciso lo scorso 11 febbraio, e ha dato la stura ad illazioni di vario genere, in primis quelle del giornalista Antonio Socci dalle colonne di Libero, che parlava delle “dimissioni” (proprio così) di papa Ratzinger come vicenda “misteriosa” e “imbarazzante”, alludendo a pressioni e forzature da cui si sarebbe sentito costretto a farsi da parte.
“Unica condizione della validità”, spiega invece Ratzinger, “è la piena libertà della decisione”, come peraltro prevede il Codice di diritto canonico al canone 332 (che dunque ammette, per chi ancora non lo sapesse, che un Papa possa fare quel che Benedetto ha fatto); “speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde”, prosegue e conclude la lettera, postulando logicamente che la rinuncia del Papa tedesco è stato un atto assolutamente libero. Ergo è assolutamente valida (a chi spetterebbe, in caso contrario, fargliela “ritirare”?), e il successore Francesco, piaccia o no, è il Papa di Santa Romana Chiesa a tutti gli effetti.
L'elemento nuovo, appena appreso dall'ex segretario di Stato cardinal Bertone in un'intervista al Giornale, è che Benedetto XVI ne parlò a lui già a metà 2012. Il che lascia intendere che la decisione di rinunciare al pontificato fu lungamente meditata, come si conveniva del resto a una decisione di simile importanza. E' scritto pure nella “declaratio” che fece quell'11 febbraio 2013 che si decise a compiere quel passo “conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata”, “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”, cosa che presumibilmente fece non nel volgere di pochi giorni.
Che poi la situazione sia del tutto inedita e possa dunque sembrare un po' strana all'occhio, nel vedere Benedetto e Francesco appaiati in fotografia o in TV, questo è fuori di dubbio. Si può pure discutere dell'opportunità che i due appaiano in pubblico insieme, ma prima bisogna prendere onestamente atto (e tirarne le conseguenze) di un dato del tutto evidente, vale a dire la pacifica naturalezza con cui hanno vissuto quei momenti. Né l'uno ha mai mostrato di sentirsi sminuito, né l'altro ha dato segnale alcuno di sentirsi “di troppo” con la sua presenza, dalla prima visita di Francesco a Castelgandolfo (23 marzo scorso, dove il papa emerito aveva provvisoriamente preso alloggio), fino alla celebrazione del concistoro di sabato, cui Benedetto XVI ha presenziato prendendo posto in una sedia uguale alle altre accanto ai cardinali e togliendosi lo zucchetto bianco in segno di riverenza all'atto del salutare (calorosamente) il successore.
Dettagli, dirà qualcuno, che pure però hanno la loro piccola importanza, in contesti come quello di una solenne liturgia in san Pietro, dove alcune “forme” sono anch'esse “sostanza”, e bella solida. Ma tutto sommato neppure ci sarebbe un gran bisogno di sottolinearli e discuterne, se qualcuno non si appigliasse ad essi per imbastire traballanti fantasie. La veste bianca, ad esempio, che l'emerito ha mantenuto come proprio abito (ma solo la talare, senza mantella sulle spalle e fascia pettorale). “Nel momento della rinuncia non c'erano altri abiti disponibili”, si è visto suo malgrado costretto (questa volta sì) a spiegare, e pure mantenere il nome Benedetto “è una cosa semplicemente pratica”. “Anche qui si tratta di speculazioni senza fondamento”, è la conclusione.
Su una cosa probabilmente
ha ragione chi come Socci avanza ipotesi di rinuncia “forzata”
del Papa tedesco. Il suo pontificato, vale a dire, è stato funestato
specie gli ultimi anni da tormentose vicende tutte interne
all'apparato ecclesiastico (“vatileaks” anzitutto, ma non solo)
che hanno provocato sgomento presso i fedeli e scandalo presso la più
vasta opinione pubblica planetaria, mettendo purtroppo in ombra i
meriti del Joseph Ratzinger Pontefice. Un ottimo motivo in più,
verrebbe da commentare, per non appesantire ancora oggi i suoi
pensieri e le sue giornate con discussioni di dubbia fondatezza e
soprattutto utilità sul suo operato di ieri ed oggi, neppure col
pretesto di fare ciò per amore della Chiesa. Chi la Chiesa la ama
davvero, rifletta piuttosto sull'amore per la Chiesa che il sommo
“pastore” ora emerito di essa ha avuto e ha. E pensando pure
all'intelligenza e all'integrità morale della “persona” Joseph
Ratzinger, consideri se non potrebbe essere persino insultante per
lui l'attribuirgli qualche mira di fare ombra al successore, o
addirittura esercitare su di lui poteri indebiti.
“Io”, ha scritto di recente Benedetto XVI al teologo Hans Kung, “sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un'amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera”, con buona pace di chi tra lui e Francesco vede solo discontinuità e contrapposizioni. E siccome alcuni di essi, nostalgici del primo, vedono misteri e complotti ovunque, il bravo Tornielli ha colto pure l'occasione di chiedere conferma allo scrivente dell'autenticità di quelle parole, confermata in pieno.
Quanto al papa argentino, ricordiamo a titolo di esempio quando si è avvalso delle bozze del predecessore per dare alle stampe la sua prima enciclica “Lumen fidei” dello scorso luglio, dichiarandolo in tutta onestà e semplicità a mo' di introduzione. Spiace semmai apprendere oggi da mons. Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e già segretario particolare di Benedetto XVI, che questi non ci regalerà più testi scritti di alcun genere, ed è sinceramente un peccato, data la chiarezza e la profondità che tutti riconoscevano al Papa teologo e scrittore, pensiamo alla trilogia del “Gesù di Nazaret”. “Non ne ha più la forza”, dichiara oggi Gaenswein in un'intervista, aggiungendo significativamente che “altrimenti non avrebbe lasciato il papato”.
Non sarà probabilmente l'ultima parola sulla singolare questione, dato che la mamma di complottisti e dietrologi è sempre incinta. Sicuramente però è la più autorevole spesa finora a proposito della singolare “coabitazione” dentro le mura vaticane di due papi, di cui uno senza aggettivi annessi, l'altro “emerito”, è stato deciso che si chiami, giacché in piena libertà e consapevolezza ha rinunciato al pontificato.
La parola, per l'appunto è quella del secondo, Benedetto XVI, interpellato per iscritto dal vaticanista Andrea Tornielli de La Stampa: “non c'è il minimo dubbio”, ha scritto i giorni scorsi in risposta ad una missiva del giornalista, “circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino”, il cui primo anniversario ricorreva per inciso lo scorso 11 febbraio, e ha dato la stura ad illazioni di vario genere, in primis quelle del giornalista Antonio Socci dalle colonne di Libero, che parlava delle “dimissioni” (proprio così) di papa Ratzinger come vicenda “misteriosa” e “imbarazzante”, alludendo a pressioni e forzature da cui si sarebbe sentito costretto a farsi da parte.
“Unica condizione della validità”, spiega invece Ratzinger, “è la piena libertà della decisione”, come peraltro prevede il Codice di diritto canonico al canone 332 (che dunque ammette, per chi ancora non lo sapesse, che un Papa possa fare quel che Benedetto ha fatto); “speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde”, prosegue e conclude la lettera, postulando logicamente che la rinuncia del Papa tedesco è stato un atto assolutamente libero. Ergo è assolutamente valida (a chi spetterebbe, in caso contrario, fargliela “ritirare”?), e il successore Francesco, piaccia o no, è il Papa di Santa Romana Chiesa a tutti gli effetti.
L'elemento nuovo, appena appreso dall'ex segretario di Stato cardinal Bertone in un'intervista al Giornale, è che Benedetto XVI ne parlò a lui già a metà 2012. Il che lascia intendere che la decisione di rinunciare al pontificato fu lungamente meditata, come si conveniva del resto a una decisione di simile importanza. E' scritto pure nella “declaratio” che fece quell'11 febbraio 2013 che si decise a compiere quel passo “conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata”, “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”, cosa che presumibilmente fece non nel volgere di pochi giorni.
Che poi la situazione sia del tutto inedita e possa dunque sembrare un po' strana all'occhio, nel vedere Benedetto e Francesco appaiati in fotografia o in TV, questo è fuori di dubbio. Si può pure discutere dell'opportunità che i due appaiano in pubblico insieme, ma prima bisogna prendere onestamente atto (e tirarne le conseguenze) di un dato del tutto evidente, vale a dire la pacifica naturalezza con cui hanno vissuto quei momenti. Né l'uno ha mai mostrato di sentirsi sminuito, né l'altro ha dato segnale alcuno di sentirsi “di troppo” con la sua presenza, dalla prima visita di Francesco a Castelgandolfo (23 marzo scorso, dove il papa emerito aveva provvisoriamente preso alloggio), fino alla celebrazione del concistoro di sabato, cui Benedetto XVI ha presenziato prendendo posto in una sedia uguale alle altre accanto ai cardinali e togliendosi lo zucchetto bianco in segno di riverenza all'atto del salutare (calorosamente) il successore.
Dettagli, dirà qualcuno, che pure però hanno la loro piccola importanza, in contesti come quello di una solenne liturgia in san Pietro, dove alcune “forme” sono anch'esse “sostanza”, e bella solida. Ma tutto sommato neppure ci sarebbe un gran bisogno di sottolinearli e discuterne, se qualcuno non si appigliasse ad essi per imbastire traballanti fantasie. La veste bianca, ad esempio, che l'emerito ha mantenuto come proprio abito (ma solo la talare, senza mantella sulle spalle e fascia pettorale). “Nel momento della rinuncia non c'erano altri abiti disponibili”, si è visto suo malgrado costretto (questa volta sì) a spiegare, e pure mantenere il nome Benedetto “è una cosa semplicemente pratica”. “Anche qui si tratta di speculazioni senza fondamento”, è la conclusione.
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| Antonio Socci |
“Io”, ha scritto di recente Benedetto XVI al teologo Hans Kung, “sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un'amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera”, con buona pace di chi tra lui e Francesco vede solo discontinuità e contrapposizioni. E siccome alcuni di essi, nostalgici del primo, vedono misteri e complotti ovunque, il bravo Tornielli ha colto pure l'occasione di chiedere conferma allo scrivente dell'autenticità di quelle parole, confermata in pieno.
Quanto al papa argentino, ricordiamo a titolo di esempio quando si è avvalso delle bozze del predecessore per dare alle stampe la sua prima enciclica “Lumen fidei” dello scorso luglio, dichiarandolo in tutta onestà e semplicità a mo' di introduzione. Spiace semmai apprendere oggi da mons. Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e già segretario particolare di Benedetto XVI, che questi non ci regalerà più testi scritti di alcun genere, ed è sinceramente un peccato, data la chiarezza e la profondità che tutti riconoscevano al Papa teologo e scrittore, pensiamo alla trilogia del “Gesù di Nazaret”. “Non ne ha più la forza”, dichiara oggi Gaenswein in un'intervista, aggiungendo significativamente che “altrimenti non avrebbe lasciato il papato”.
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