Gli Stati Uniti potrebbero fornire armi ai ribelli in Siria. La notizia, circolata nelle ultime ore, arriva nel momento in cui le forze lealiste, dopo aver ripreso il controllo di Qusayr, dichiarano di aver cominciato l’attacco ad Aleppo. E da Israele arriva un nuovo monito ad Assad. I dettagli nel servizio di Davide Maggiore: ascolta
Radio Vaticana - La questione delle armi ai ribelli è sull’agenda della Casa Bianca, e già in settimana potrebbe arrivare una decisione. Ad affermarlo è una fonte dell’amministrazione, che ha chiesto l’anonimato; nelle scorse ore anche il quotidiano israeliano Haaretz aveva citato questa ipotesi, secondo cui Barack Obama sarebbe favorevole ad armare le fazioni moderate dell’opposizione. Per Haaretz, sarebbe allo studio anche una no-fly zone, ma non un intervento militare sul terreno. Da Israele arrivano inoltre le dichiarazioni dell’ex ministro Avigdor Lieberman, oggi presidente della commissione parlamentare Esteri e Difesa. Secondo Lieberman ad Assad “non conviene” aprire un fronte con gli israeliani perché “rischierebbe di perdere tutto ciò che possiede”. Ma le operazioni dei governativi sembrano per ora concentrarsi su Aleppo: nell’offensiva, secondo Damasco, sarebbero già morti quasi cento ribelli. Gli insorti però dichiarano di essere entrati in un’importante base aerea della zona. Intanto fonti d’opposizione parlano di oltre 3000 morti nel mese di maggio, tra cui più di 340 minori.
Un'esplosione si è verificata nella valle libanese della Bekaa, nei pressi di Tanayel, lungo l'autostrada internazionale Beirut-Damasco. Fonti di stampa locali sostengono che il bersaglio doveva essere un convoglio di miliziani del movimento sciita Hezbollah. Ieri, a Beirut, durante una manifestazione di protesta contro il coinvolgimento proprio di Hezbollah in Siria, un giovane attivista era stato ucciso durante gli scontri di fronte all’ambasciata iraniana. Della tensione in Libano in relazione al conflitto siriano, Fausta Speranza ha parlato con Francesca Maria Corrao, docente di mondo arabo all’Università Luiss: ascolta
R. – E’ da un po’ di tempo che la situazione di tensione tende ad aggravarsi, nel Nord del Paese, dove ci sono stati scontri perché nella città di Tripoli ci sono i sunniti che sostengono i ribelli contro Assad, invece gli sciiti sostengono Assad. Noi abbiamo una visione un po’ a macchia di leopardo, perché le informazioni sono discontinue. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il Libano è uno Stato che in epoca ottomana faceva parte della Siria, dunque i due Paesi hanno una lunga storia di non-confini, confini che poi sono stati imposti alla fine del colonialismo. Anche all’interno del Paese, i partiti nascono come emanazione dei gruppi etnici e religiosi e dunque questo tipo di configurazione risponde a ideologie che si rifanno a una spiritualità spesso manipolata dalla politica.
D. – Il coinvolgimento più diretto con il conflitto siriano è quello dell’impegno di Hezbollah. Ma c’è tutta una popolazione: secondo lei, come la popolazione libanese sta vivendo questo conflitto alle porte?
R. – Di fatto, a guardare i giornali libanesi, si vede che la popolazione sta cercando di aiutare i deboli e di sostenere il tessuto sociale. Adesso noi, ad esempio, leggiamo sul giornale di un bombardamento, ma gli effetti poi del bombardamento sono quelli che gestisce la società civile, con aiuti alimentari, con ospitalità, con sostegni anche da parte della mezzaluna rossa e delle altre organizzazioni che aiutano la società civile. Questo è il dramma. Cioè: noi leggiamo di una bomba, di alcuni terroristi, di palazzi caduti ma non immaginiamo che cosa significhi in termini di spostamenti di persone e di difficoltà per la vita normale, che non è tale da due anni ed è sempre più drammatica.
D. – Diciamo anche che il Libano è un Paese piccolo e di grande ricchezza culturale, ma è anche frutto dell’integrazione di diverse realtà culturali. Quindi, da questo punto di vista è anche a rischio di instabilità …
R. – Di fatto, il problema è proprio questo: il Libano ha vissuto una guerra civile decennale dalla quale è nato, appunto, Hezbollah e la militarizzazione dei gruppi sciiti. Quindi, è chiaro che la ricchezza culturale, religiosa, etnica del Libano in una fase di crisi può trasformarsi in una pericolosissima bomba esplosiva. Mentre, invece, il Libano è un Paese che nei secoli ha saputo dimostrare la capacità di gestire, appunto, le diversità.
Radio Vaticana - La questione delle armi ai ribelli è sull’agenda della Casa Bianca, e già in settimana potrebbe arrivare una decisione. Ad affermarlo è una fonte dell’amministrazione, che ha chiesto l’anonimato; nelle scorse ore anche il quotidiano israeliano Haaretz aveva citato questa ipotesi, secondo cui Barack Obama sarebbe favorevole ad armare le fazioni moderate dell’opposizione. Per Haaretz, sarebbe allo studio anche una no-fly zone, ma non un intervento militare sul terreno. Da Israele arrivano inoltre le dichiarazioni dell’ex ministro Avigdor Lieberman, oggi presidente della commissione parlamentare Esteri e Difesa. Secondo Lieberman ad Assad “non conviene” aprire un fronte con gli israeliani perché “rischierebbe di perdere tutto ciò che possiede”. Ma le operazioni dei governativi sembrano per ora concentrarsi su Aleppo: nell’offensiva, secondo Damasco, sarebbero già morti quasi cento ribelli. Gli insorti però dichiarano di essere entrati in un’importante base aerea della zona. Intanto fonti d’opposizione parlano di oltre 3000 morti nel mese di maggio, tra cui più di 340 minori.
Un'esplosione si è verificata nella valle libanese della Bekaa, nei pressi di Tanayel, lungo l'autostrada internazionale Beirut-Damasco. Fonti di stampa locali sostengono che il bersaglio doveva essere un convoglio di miliziani del movimento sciita Hezbollah. Ieri, a Beirut, durante una manifestazione di protesta contro il coinvolgimento proprio di Hezbollah in Siria, un giovane attivista era stato ucciso durante gli scontri di fronte all’ambasciata iraniana. Della tensione in Libano in relazione al conflitto siriano, Fausta Speranza ha parlato con Francesca Maria Corrao, docente di mondo arabo all’Università Luiss: ascolta
R. – E’ da un po’ di tempo che la situazione di tensione tende ad aggravarsi, nel Nord del Paese, dove ci sono stati scontri perché nella città di Tripoli ci sono i sunniti che sostengono i ribelli contro Assad, invece gli sciiti sostengono Assad. Noi abbiamo una visione un po’ a macchia di leopardo, perché le informazioni sono discontinue. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il Libano è uno Stato che in epoca ottomana faceva parte della Siria, dunque i due Paesi hanno una lunga storia di non-confini, confini che poi sono stati imposti alla fine del colonialismo. Anche all’interno del Paese, i partiti nascono come emanazione dei gruppi etnici e religiosi e dunque questo tipo di configurazione risponde a ideologie che si rifanno a una spiritualità spesso manipolata dalla politica.
D. – Il coinvolgimento più diretto con il conflitto siriano è quello dell’impegno di Hezbollah. Ma c’è tutta una popolazione: secondo lei, come la popolazione libanese sta vivendo questo conflitto alle porte?
R. – Di fatto, a guardare i giornali libanesi, si vede che la popolazione sta cercando di aiutare i deboli e di sostenere il tessuto sociale. Adesso noi, ad esempio, leggiamo sul giornale di un bombardamento, ma gli effetti poi del bombardamento sono quelli che gestisce la società civile, con aiuti alimentari, con ospitalità, con sostegni anche da parte della mezzaluna rossa e delle altre organizzazioni che aiutano la società civile. Questo è il dramma. Cioè: noi leggiamo di una bomba, di alcuni terroristi, di palazzi caduti ma non immaginiamo che cosa significhi in termini di spostamenti di persone e di difficoltà per la vita normale, che non è tale da due anni ed è sempre più drammatica.
D. – Diciamo anche che il Libano è un Paese piccolo e di grande ricchezza culturale, ma è anche frutto dell’integrazione di diverse realtà culturali. Quindi, da questo punto di vista è anche a rischio di instabilità …
R. – Di fatto, il problema è proprio questo: il Libano ha vissuto una guerra civile decennale dalla quale è nato, appunto, Hezbollah e la militarizzazione dei gruppi sciiti. Quindi, è chiaro che la ricchezza culturale, religiosa, etnica del Libano in una fase di crisi può trasformarsi in una pericolosissima bomba esplosiva. Mentre, invece, il Libano è un Paese che nei secoli ha saputo dimostrare la capacità di gestire, appunto, le diversità.
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