La ripresa delle esecuzioni capitali costituisce “un ritorno ai giorni più bui delle violazioni dei diritti umani in Nigeria”: lo dice alla MISNA monsignor Emmanuel Badejo, il vescovo di Oyo, annunciando un’imminente nota della Conferenza episcopale sulla fine di una moratoria durata sette anni.
Misna - A Benin City, la capitale dello Stato meridionale di Edo, lunedì sono state eseguite quattro condanne a morte. La massima pena nei confronti dei detenuti era stata comminata nel 1997, due anni prima della fine del regime militare e dell’inizio di un’esperienza liberal-democratica. Con un’ordinanza emessa il 16 giugno scorso, la ripresa delle esecuzioni era stata autorizzata dal presidente Goodluck Jonathan. Secondo monsignor Badejo, già portavoce della Conferenza episcopale, la Chiesa nigeriana sta preparando un documento nel quale esprime una condanna netta. “La vita è il bene più prezioso – sottolinea il vescovo – perché gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio e a tutti deve essere data una possibilità di ricominciare”. Monsignor Badejo, del resto, è convinto che “la ripresa delle esecuzioni capitali rischia di aggravare una cultura di violenza in tempi già difficili per la Nigeria”. Il riferimento è anche alla crisi nel nord del paese, con gli attentati del gruppo armato Boko Haram e una repressione delle Forze armate che a volte non risparmia gli innocenti. Secondo il vescovo di Oyo, “Jonathan potrebbe essere stato spinto a firmare l’ordinanza da un senso di frustrazione e dall’idea di dare all’opinione pubblica un’immagine di determinazione e di forza”.
Di certo la ripresa delle esecuzioni capitali è stata condannata dal Consiglio dell’Onu per i diritti umani, da diversi governi e da molte organizzazioni della società civile, sia nigeriane che straniere. E la campagna per una nuova moratoria ha già un obiettivo, concreto e immediato: salvare un quinto detenuto che in questi giorni, sempre a Benin City, rischia la vita.
Misna - A Benin City, la capitale dello Stato meridionale di Edo, lunedì sono state eseguite quattro condanne a morte. La massima pena nei confronti dei detenuti era stata comminata nel 1997, due anni prima della fine del regime militare e dell’inizio di un’esperienza liberal-democratica. Con un’ordinanza emessa il 16 giugno scorso, la ripresa delle esecuzioni era stata autorizzata dal presidente Goodluck Jonathan. Secondo monsignor Badejo, già portavoce della Conferenza episcopale, la Chiesa nigeriana sta preparando un documento nel quale esprime una condanna netta. “La vita è il bene più prezioso – sottolinea il vescovo – perché gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio e a tutti deve essere data una possibilità di ricominciare”. Monsignor Badejo, del resto, è convinto che “la ripresa delle esecuzioni capitali rischia di aggravare una cultura di violenza in tempi già difficili per la Nigeria”. Il riferimento è anche alla crisi nel nord del paese, con gli attentati del gruppo armato Boko Haram e una repressione delle Forze armate che a volte non risparmia gli innocenti. Secondo il vescovo di Oyo, “Jonathan potrebbe essere stato spinto a firmare l’ordinanza da un senso di frustrazione e dall’idea di dare all’opinione pubblica un’immagine di determinazione e di forza”.
Di certo la ripresa delle esecuzioni capitali è stata condannata dal Consiglio dell’Onu per i diritti umani, da diversi governi e da molte organizzazioni della società civile, sia nigeriane che straniere. E la campagna per una nuova moratoria ha già un obiettivo, concreto e immediato: salvare un quinto detenuto che in questi giorni, sempre a Benin City, rischia la vita.
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