Un rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch diffuso oggi, testimonia la politica di rialloggiamento e di ricollocamento territoriale dei tibetani che va accelerando.
Misna - Parte, infatti, dei miliardi di dollari che il governo di Pechino destina ad iniziative di sviluppo nella Regione autonoma tibetana, sarebbe andata all’organizzazione e all’attuazione del trasferimento di un gran numero di tibetani in nuovi centri abitati pianificati spesso a fianco dei vecchi nuclei abitativi, demoliti. Una situazione che non solo accelera la perdita dei tradizionali stili di vita, ma che sono anche frutto di coercizione.
Dal 2006, sostiene il rapporto They Say We Should Be Grateful: Mass Rehousing and Relocation in Tibettan Areas of China (Dicono che dovremmo essere grati: Rialloggiamento e ricollocazione di massa nelle aree tibetane della Cina), oltre due milioni di tibetani stati trasferiti in nuovi alloggi, attraverso ristrutturazioni di vecchi edifici o la costruzione di nuove abitazioni, mentre centinaia di migliaia di altri, in pratica la maggioranza delle popolazioni tradizionalmente nomadi delle regioni orientali, vengono costretti alla sedentarizzazione in comunità definite Nuovi villaggi socialisti: 300.000 nell’ultimo decennio e altri 113.000, secondo i piani, entro quest’anno. Una situazione che va cambiando la fisionomia umana del Tibet annesso nella Repubblica popolare cinese nel 1959 e successivamente smembrato in regioni autonome o in provincie preesistenti.
Nelle 115 pagine del rapporto di Human Rights Watch si documentano le violazioni dei diritti dei tibetani che vanno dall’assenza di ogni consultazione sulle decisioni alla mancanza di compensi adeguati: due elementi previsti a livello internazionale nel caso di una ricollocazione non spontanea della popolazione. Nel rapporto si sottolineano anche la povera qualità delle nuove abitazioni, la difficoltà di ricorrere ad arbitrato nei casi di controversie, l’impossibilità di ripristinare le attività economiche preesistenti e il mancato rispetto dei diritti di autonomia formalmente garantiti dalla legge nelle aree tibetane.
Come commentato da Sophie Richardson, direttore della sezione Cina di Hrw, “l’entità e la velocità con cui la popolazione rurale tibetana viene rimodellata dalla ricollocazione di massa sono senza precedenti nell’era post-maoista. I tibetani – ha aggiunto – non hanno voce nell’ideazione di politiche che stanno radicalmente modificando il loro stile di vita e, in un contesto già repressivo, non hanno modo di opporsi”.
Misna - Parte, infatti, dei miliardi di dollari che il governo di Pechino destina ad iniziative di sviluppo nella Regione autonoma tibetana, sarebbe andata all’organizzazione e all’attuazione del trasferimento di un gran numero di tibetani in nuovi centri abitati pianificati spesso a fianco dei vecchi nuclei abitativi, demoliti. Una situazione che non solo accelera la perdita dei tradizionali stili di vita, ma che sono anche frutto di coercizione.
Dal 2006, sostiene il rapporto They Say We Should Be Grateful: Mass Rehousing and Relocation in Tibettan Areas of China (Dicono che dovremmo essere grati: Rialloggiamento e ricollocazione di massa nelle aree tibetane della Cina), oltre due milioni di tibetani stati trasferiti in nuovi alloggi, attraverso ristrutturazioni di vecchi edifici o la costruzione di nuove abitazioni, mentre centinaia di migliaia di altri, in pratica la maggioranza delle popolazioni tradizionalmente nomadi delle regioni orientali, vengono costretti alla sedentarizzazione in comunità definite Nuovi villaggi socialisti: 300.000 nell’ultimo decennio e altri 113.000, secondo i piani, entro quest’anno. Una situazione che va cambiando la fisionomia umana del Tibet annesso nella Repubblica popolare cinese nel 1959 e successivamente smembrato in regioni autonome o in provincie preesistenti.
Nelle 115 pagine del rapporto di Human Rights Watch si documentano le violazioni dei diritti dei tibetani che vanno dall’assenza di ogni consultazione sulle decisioni alla mancanza di compensi adeguati: due elementi previsti a livello internazionale nel caso di una ricollocazione non spontanea della popolazione. Nel rapporto si sottolineano anche la povera qualità delle nuove abitazioni, la difficoltà di ricorrere ad arbitrato nei casi di controversie, l’impossibilità di ripristinare le attività economiche preesistenti e il mancato rispetto dei diritti di autonomia formalmente garantiti dalla legge nelle aree tibetane.
Come commentato da Sophie Richardson, direttore della sezione Cina di Hrw, “l’entità e la velocità con cui la popolazione rurale tibetana viene rimodellata dalla ricollocazione di massa sono senza precedenti nell’era post-maoista. I tibetani – ha aggiunto – non hanno voce nell’ideazione di politiche che stanno radicalmente modificando il loro stile di vita e, in un contesto già repressivo, non hanno modo di opporsi”.
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