A Trapani maxi confisca portata a termine dalla Direzione investigativa antimafia. Andranno allo Stato, dunque alla collettività, i beni dell’imprenditore considerato il “re dell’eolico”, Vito Nicastri. Originario di Alcamo, 54 anni, arrestato nel novembre del 2009 Nicastri è ritenuto dagli inquirenti vicino al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, già coinvolto in altre indagini.
Liberainformazione - Su tutte la “Eolo” che fu la prima operazione a svelare gli interessi di Cosa nostra nella realizzazione di energia verde in provincia di Trapani (leggi qui gli approfondimenti a cura di Rino Giacalone – II)
I beni. Alla collettività torneranno, dunque, beni aziendali e ben 43 tra società e partecipazioni societarie. Inoltre, 98 beni immobili, tra palazzine, ville, magazzini e terreni, oltre a barche, macchine, conti correnti, carte di credito, assicurazioni sulla vita e fondi di investimento riconducibili all’imprenditore e ai suoi familiari. Il provvedimento che interessa anche la Sicilia Orientale, il Lazio, la Calabria e la Lombardia ha avuto origine da una indagine antimafia complessa e la confisca di oggi rientra in un percorso investigativo portato avanti dalla magistratura e dall’intellingence antimafia che mira a smascherare i prestanome di Messina Denaro, i suoi fiancheggiatori, gli imprenditori “vicini” al boss latitante di Cosa nostra. Un cerchio che si stringe intorno a quello che viene considerato “l’ultimo dei Corleonesi”, il boss trapanese che è ancora influente su gran parte della Sicilia occidentale e su tutta l’organizzazione. Che ha al soldo imprenditori in grado di reinvestire capitali illeciti, sostenitori e “amici” in grado di garantirne la latitanza proprio nella sua terra. (Leggi qui approfondimenti su Messina Denaro a cura di Rino Giacalone - II)
Nicastri – fanno sapere gli inquirenti – “attraverso una tumultuosa dinamica degli affari ha intrattenuto rapporti anche con società lussemburghesi, danesi e spagnole”. “La sua vicinanza ai più noti esponenti mafiosi, ha favorito la sua trasformazione da elettricista a imprenditore specializzato nello sviluppo di impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili, facendogli assumere una posizione di rilievo nelle regioni del Meridione” – scrivono. Nicastri secondo le indagini condotte dalla Dia di Palermo l’imprenditore sarebbe stato vicino non solo a Messina Denaro nel trapanese, ma anche a Salvatore e Sandro Lo Piccolo, entrambi in carcere, nel palermitano. Un business, quello dell’eolico e del fotovoltaico, che con pochi investimenti portava massimo rendimento. Soldi che hanno fatto il giro di numerosi istituti bancari, operazioni sospette quasi masi segnalate, come invece imporrebbe la legge antiriciclaggio in vigore dagli anni ’90 e rimasta lettera morta. Un giro di denaro che sottolinea anche la lungimiranza delle cosche: le mafie, infatti, hanno fiutato prima di altri operatori economici il business potenziale della green economy i (Clicca qui per articolo d Rino Giacalone sulla green economy e il rischio di infiltrazioni criminali).
Aziende e immobili che dovranno, adesso, tornare al più presto nella disponibilità della società civile e delle istituzioni, come prevede la legge 109/96. Ed è di ieri il passaggio della carovana internazionale antimafie, nel giorno dell’anniversario della Strage di Pizzolungo, proprio a Trapani, nell’azienda confiscata al boss Vincenzo Virga, la Calcestruzzi Ericina, tornata a vivere nel mercato legale dell’economia. Un percorso tortuoso quello che ha visto l’azienda di cemento un tempo in mano ai boss tornare ad operare nel circuito delle imprese sane. Ieri, dalla Calcestruzzi, l’ennesimo appello affinché la memoria si faccia impegno e le istituzioni diano seguito all’applicazione piena e concreta della legge del ’96, anche per le aziende confiscate. Da alcuni mesi, in questa direzione, è in corso una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che si occupi proprio del delicato iter delle aziende confiscate ai boss e del destino dei lavoratori. La campagna “Io riattivo il lavoro” è promossa dalla Cgil ed è possibile partecipare cliccando sul portale “Io riattivo il lavoro”.
Un approfondimento anche su CTzen.it
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I beni. Alla collettività torneranno, dunque, beni aziendali e ben 43 tra società e partecipazioni societarie. Inoltre, 98 beni immobili, tra palazzine, ville, magazzini e terreni, oltre a barche, macchine, conti correnti, carte di credito, assicurazioni sulla vita e fondi di investimento riconducibili all’imprenditore e ai suoi familiari. Il provvedimento che interessa anche la Sicilia Orientale, il Lazio, la Calabria e la Lombardia ha avuto origine da una indagine antimafia complessa e la confisca di oggi rientra in un percorso investigativo portato avanti dalla magistratura e dall’intellingence antimafia che mira a smascherare i prestanome di Messina Denaro, i suoi fiancheggiatori, gli imprenditori “vicini” al boss latitante di Cosa nostra. Un cerchio che si stringe intorno a quello che viene considerato “l’ultimo dei Corleonesi”, il boss trapanese che è ancora influente su gran parte della Sicilia occidentale e su tutta l’organizzazione. Che ha al soldo imprenditori in grado di reinvestire capitali illeciti, sostenitori e “amici” in grado di garantirne la latitanza proprio nella sua terra. (Leggi qui approfondimenti su Messina Denaro a cura di Rino Giacalone - II)
Nicastri – fanno sapere gli inquirenti – “attraverso una tumultuosa dinamica degli affari ha intrattenuto rapporti anche con società lussemburghesi, danesi e spagnole”. “La sua vicinanza ai più noti esponenti mafiosi, ha favorito la sua trasformazione da elettricista a imprenditore specializzato nello sviluppo di impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili, facendogli assumere una posizione di rilievo nelle regioni del Meridione” – scrivono. Nicastri secondo le indagini condotte dalla Dia di Palermo l’imprenditore sarebbe stato vicino non solo a Messina Denaro nel trapanese, ma anche a Salvatore e Sandro Lo Piccolo, entrambi in carcere, nel palermitano. Un business, quello dell’eolico e del fotovoltaico, che con pochi investimenti portava massimo rendimento. Soldi che hanno fatto il giro di numerosi istituti bancari, operazioni sospette quasi masi segnalate, come invece imporrebbe la legge antiriciclaggio in vigore dagli anni ’90 e rimasta lettera morta. Un giro di denaro che sottolinea anche la lungimiranza delle cosche: le mafie, infatti, hanno fiutato prima di altri operatori economici il business potenziale della green economy i (Clicca qui per articolo d Rino Giacalone sulla green economy e il rischio di infiltrazioni criminali).
Aziende e immobili che dovranno, adesso, tornare al più presto nella disponibilità della società civile e delle istituzioni, come prevede la legge 109/96. Ed è di ieri il passaggio della carovana internazionale antimafie, nel giorno dell’anniversario della Strage di Pizzolungo, proprio a Trapani, nell’azienda confiscata al boss Vincenzo Virga, la Calcestruzzi Ericina, tornata a vivere nel mercato legale dell’economia. Un percorso tortuoso quello che ha visto l’azienda di cemento un tempo in mano ai boss tornare ad operare nel circuito delle imprese sane. Ieri, dalla Calcestruzzi, l’ennesimo appello affinché la memoria si faccia impegno e le istituzioni diano seguito all’applicazione piena e concreta della legge del ’96, anche per le aziende confiscate. Da alcuni mesi, in questa direzione, è in corso una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che si occupi proprio del delicato iter delle aziende confiscate ai boss e del destino dei lavoratori. La campagna “Io riattivo il lavoro” è promossa dalla Cgil ed è possibile partecipare cliccando sul portale “Io riattivo il lavoro”.
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