Tra parole dure ed attimi di commozione, si è da poco concluso il discorso di insediamento del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano aveva sottoscritto questa mattina l'atto di dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica da lui assunta il 15 maggio del 2006, in attesa del giuramento per il nuovo mandato. Il Presidente è entrato quindi a Montecitorio accompagnato da Laura Boldrini e Pietro Grasso per poi attraversare il corridoio d’onore. Imminenti i ringraziamenti per “avermi con così largo suffragio eletto Presidente della Repubblica. E' un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso”.
Poco dopo sono arrivate le 'dure' accuse nei confronti dei partiti, a detta sua incapaci di formare un governo. “Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato – ha detto Napolitano - non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese”. La più grande mancanza, secondo il Capo dello Stato, è stata la mancata riforma elettorale, un buco da colmare entro l’anno prossimo, quando probabilmente ci saranno le nuove elezioni politiche. “Non meno imperdonabile resta il 'nulla di fatto' in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione – ha aggiunto - faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario”.
Non sono mancati i consigli: quello che bisogna fare, a detta del Presidente Napolitano, è seguire la strada intrapresa dai saggi. Quelli prodotti da loro vengono definiti come “documenti di cui non si può negare, se non per gusto di polemica intellettuale, la serietà e la concretezza”. Da qui bisognerebbe partire per costruire un governo di larghe intese basato sulla collaborazione delle varie forze politiche. Ha inoltre aggiunto: “Sulla base dei risultati elettorali, di cui non si può non prendere atto, piacciano oppure no, non c'è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuto a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni”.
Napolitano ha voluto parlare in particolare al Movimento 5 Stelle, meritevole di un apprezzamento: “Apprezzo l’impegno con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta: quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento”. I 5 Stelle non hanno applaudito ma sono rimasti in piedi in aula per mostrare “contegno istituzionale” senza rinunciare al dissenso: durante l’applauso rivolto al Presidente hanno preferito serrare le braccia.
La cerimonia all’insegna dell’austerity (Napolitano ha optato per una scorta ridotta e un’auto d'ordinanza) si è conclusa poco dopo le 18 per lasciare il Presidente in carica al suo ritorno al Quirinale.
Giorgio Napolitano aveva sottoscritto questa mattina l'atto di dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica da lui assunta il 15 maggio del 2006, in attesa del giuramento per il nuovo mandato. Il Presidente è entrato quindi a Montecitorio accompagnato da Laura Boldrini e Pietro Grasso per poi attraversare il corridoio d’onore. Imminenti i ringraziamenti per “avermi con così largo suffragio eletto Presidente della Repubblica. E' un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso”.
Poco dopo sono arrivate le 'dure' accuse nei confronti dei partiti, a detta sua incapaci di formare un governo. “Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato – ha detto Napolitano - non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese”. La più grande mancanza, secondo il Capo dello Stato, è stata la mancata riforma elettorale, un buco da colmare entro l’anno prossimo, quando probabilmente ci saranno le nuove elezioni politiche. “Non meno imperdonabile resta il 'nulla di fatto' in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione – ha aggiunto - faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario”.
Non sono mancati i consigli: quello che bisogna fare, a detta del Presidente Napolitano, è seguire la strada intrapresa dai saggi. Quelli prodotti da loro vengono definiti come “documenti di cui non si può negare, se non per gusto di polemica intellettuale, la serietà e la concretezza”. Da qui bisognerebbe partire per costruire un governo di larghe intese basato sulla collaborazione delle varie forze politiche. Ha inoltre aggiunto: “Sulla base dei risultati elettorali, di cui non si può non prendere atto, piacciano oppure no, non c'è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuto a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni”.
Napolitano ha voluto parlare in particolare al Movimento 5 Stelle, meritevole di un apprezzamento: “Apprezzo l’impegno con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta: quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento”. I 5 Stelle non hanno applaudito ma sono rimasti in piedi in aula per mostrare “contegno istituzionale” senza rinunciare al dissenso: durante l’applauso rivolto al Presidente hanno preferito serrare le braccia.
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