Il rapporto Censis mostra un'Italia sempre più connessa ad Internet, nella quale trova spazio soprattutto l'esibizione delle singole individualità. L'obiettivo futuro dovrà essere la “BioMediaEtica”.
Città Nuova - A Roma, presso la sala Capitolare del Senato della Repubblica, è stato presentato il decimo Rapporto Censis/Ucsi sulla Comunicazione. Dai dati raccolti e presentati appare evidente: l’utente è il contenuto e viceversa. Ovvero: l’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizione del sé. Inoltre, anche l’informazione può essere autoprodotta, oltre che autogestita. Pertanto, l’io mediatico è equivalente all’individuo in quanto tale . Quindi i media siamo noi! Anche se, purtroppo, non ce ne stiamo neanche rendendo conto.
Siamo ufficialmente entrati, anche in Italia, nell’“era biomediatica”. L’utenza Internet è passata dal 27,8 per cento del 2002 al 62,1 per cento del 2012. Di questi, è iscritto ad una rete social il 66,6 per cento: solo lo scorso anno era il 49 per cento. Mentre terribile e impietosa continua l’emorragia dei lettori della carta stampata, la miniaturizzazione dell’hardware da un lato, la personalizzazione dei contenuti e la moltiplicazione dell’offerta dall’altro, hanno trasformato la "dieta mediatica" degli italiani. Quindi, non più solo e soltanto televisione, anche se, evidentemente, la fetta più anziana della popolazione, analfabeta digitale, continua a seguirla.
I media che integrano più funzioni, quindi, tablet e smartphone in primis, sono i nuovi prolungamenti non naturali, ma digitali, dei nostri corpi. Imprescindibili, soprattutto per giovani e giovanissimi. Per loro cross-medialità, multitasking e iperconnessione sono il normale habitat di vita e non strane parole senza senso. Tutto ciò crea digital divide tra generazioni e tra i ragazzi e il mondo della scuola, dove l’evidente lentezza di adattamento sta comportando l’inadeguatezza dei programmi ai nuovi bisogni, imposti da un lato dalla diffusione e dall’altra dalla complessità e dalle nuove opportunità aperte dai media.
Ma al neologismo “biomediatica”, oggi evidentemente, occorre iniziare ad aggiungere una “e”. Avere quindi “biomediaetica”, ovvero ciò a cui dobbiamo anelare, come ha sottolineato Andrea Melodia, Presidente Ucsi, intervenuto al dibattito. Responsabilità, competenza, qualità e professionalità di chi lavora nel mondo dei media e con i media appaiono le nuove parole d’ordine per fronteggiare le necessità aperte dalla società informatizzata e globalizzata d’oggi. Anche perché, senza di esse, non si possono fronteggiare i nuovi problemi, quali, ad esempio, quelli concernenti la privacy, il copyright e la pirateria, dilaganti.
Media, come opportunità, per il rilancio della società, dell’economia e delle imprese italiane. Come hanno evidenziato gli ospiti di Mediaset e Rai intervenuti. Mentre Antonello Soro, garante per la protezione dei dati personali, rilanciava: “deve forse seguire all’habeas corpus (difesa del corpo) un habeas data (difesa dei dati)?” Ai posteri l’ardua sentenza.
Città Nuova - A Roma, presso la sala Capitolare del Senato della Repubblica, è stato presentato il decimo Rapporto Censis/Ucsi sulla Comunicazione. Dai dati raccolti e presentati appare evidente: l’utente è il contenuto e viceversa. Ovvero: l’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizione del sé. Inoltre, anche l’informazione può essere autoprodotta, oltre che autogestita. Pertanto, l’io mediatico è equivalente all’individuo in quanto tale . Quindi i media siamo noi! Anche se, purtroppo, non ce ne stiamo neanche rendendo conto.
Siamo ufficialmente entrati, anche in Italia, nell’“era biomediatica”. L’utenza Internet è passata dal 27,8 per cento del 2002 al 62,1 per cento del 2012. Di questi, è iscritto ad una rete social il 66,6 per cento: solo lo scorso anno era il 49 per cento. Mentre terribile e impietosa continua l’emorragia dei lettori della carta stampata, la miniaturizzazione dell’hardware da un lato, la personalizzazione dei contenuti e la moltiplicazione dell’offerta dall’altro, hanno trasformato la "dieta mediatica" degli italiani. Quindi, non più solo e soltanto televisione, anche se, evidentemente, la fetta più anziana della popolazione, analfabeta digitale, continua a seguirla.
I media che integrano più funzioni, quindi, tablet e smartphone in primis, sono i nuovi prolungamenti non naturali, ma digitali, dei nostri corpi. Imprescindibili, soprattutto per giovani e giovanissimi. Per loro cross-medialità, multitasking e iperconnessione sono il normale habitat di vita e non strane parole senza senso. Tutto ciò crea digital divide tra generazioni e tra i ragazzi e il mondo della scuola, dove l’evidente lentezza di adattamento sta comportando l’inadeguatezza dei programmi ai nuovi bisogni, imposti da un lato dalla diffusione e dall’altra dalla complessità e dalle nuove opportunità aperte dai media.
Ma al neologismo “biomediatica”, oggi evidentemente, occorre iniziare ad aggiungere una “e”. Avere quindi “biomediaetica”, ovvero ciò a cui dobbiamo anelare, come ha sottolineato Andrea Melodia, Presidente Ucsi, intervenuto al dibattito. Responsabilità, competenza, qualità e professionalità di chi lavora nel mondo dei media e con i media appaiono le nuove parole d’ordine per fronteggiare le necessità aperte dalla società informatizzata e globalizzata d’oggi. Anche perché, senza di esse, non si possono fronteggiare i nuovi problemi, quali, ad esempio, quelli concernenti la privacy, il copyright e la pirateria, dilaganti.
Media, come opportunità, per il rilancio della società, dell’economia e delle imprese italiane. Come hanno evidenziato gli ospiti di Mediaset e Rai intervenuti. Mentre Antonello Soro, garante per la protezione dei dati personali, rilanciava: “deve forse seguire all’habeas corpus (difesa del corpo) un habeas data (difesa dei dati)?” Ai posteri l’ardua sentenza.
di Eloisa De Felice
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