Era il 1947, quando padre Werenfried ha iniziato a bussare alle porte fiamminghe, mendicando aiuto per i quattordici milioni di tedeschi in fuga dalla Germania Orientale. Da allora, in 65 anni di storia, Aiuto alla Chiesa che Soffre non ha mai dimenticato chi è costretto ad abbandonare la propria casa.
Etiopia
, Tunisia, Israele, Myanmar, solo negli ultimi quattro anni la Fondazione pontificia ha donato a progetti per i rifugiati oltre 600mila euro. Aiuti di emergenza, per il sostentamento ma anche sostegno alla pastorale e all’istruzione. Come «Save the Saveable», tra le iniziative storiche di ACS, un programma scolastico nato nel 1986 per i bambini dei campi profughi di Khartoum.
Ecco perché, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, in tanti hanno voluto esprimere la propria gratitudine.
«A nome di tutti i nostri studenti ringrazio ACS e tutti i suoi benefattori» scrive dal Cairo padre Jamel Araya, missionario comboniano della Chiesa del Sacro Cuore. Nella capitale egiziana i comboniani promuovono da diversi anni un programma educativo per i piccoli rifugiati sudanesi - e ora anche sud-sudanesi - dai 5 ai 19 anni. «L’istruzione è un fattore chiave per lo sviluppo umano» spiega il religioso, aggiungendo con orgoglio che «quest’anno abbiamo avuto oltre 1200 iscritti nelle nostre tre scuole». I centri si trovano nei quartieri più poveri della città, lì dove vivono i profughi, e coinvolgono - tra insegnanti e personale - quasi un centinaio di rifugiati sudanesi. ACS sostiene le attività interculturali che mettono a confronto gli allievi con i loro coetanei egiziani. «Così i ragazzi condividono le loro culture e imparano ad aprirsi agli altri. E i nostri piccoli studenti possono integrarsi più facilmente nella società in cui vivono».
Dall’Egitto al Myanmar, dove l’anno scorso la Fondazione pontificia ha inviato aiuti di emergenza per i rifugiati nelle diocesi di Banmaw e Myitkyina. E poi a Tunisi, dove la Fondazione ha sostenuto i profughi libici.
Nel 2012 i progetti da realizzati da ACS per i rifugiati – per un totale di quasi 230mila euro - hanno seguito gli ultimi tragici avvenimenti. Indispensabile il supporto in Sudan, in particolare alle diocesi di El Obeid e Kosti che hanno ricevuto due delle maggiori donazioni. E in Siria, nella regione di Wadi Alnasara - che in arabo significa «Valle dei cristiani» - in cui dopo le violenze ad Homs e nei villaggi limitrofi sono fuggiti migliaia di fedeli.
Le necessità dei siriani vanno ad aggiungersi a quelle dei profughi iracheni che dal 2003 hanno varcato numerosi il confine, rifugiandosi in città come Damasco e Aleppo. Anche a loro ACS non ha mai fatto mancare il proprio appoggio: in Iraq come in Siria, in Giordania come in Turchia.
A Istanbul la Fondazione aiuta il programma dei padri salesiani per i piccoli rifugiati iracheni e le loro famiglie. Molti bambini non sanno leggere e scrivere perché in Iraq, a causa delle violenze, i genitori hanno preferito non mandarli a scuola. Con alcuni professori iracheni i religiosi insegnano a più di 100 alunni, mentre insieme ad alcuni volontari gestiscono un centro per i giovani. «Niente di tutto ciò sarebbe possibile senza Aiuto alla Chiesa che Soffre – afferma don Andrés Calleja, direttore dell’opera dei Padri Salesiani di Istanbul – che è per noi una mano amica capace di alleviare le nostre sofferenze e di darci nuovamente speranza, voglia di combattere e fiducia nell’umanità».
Etiopia
, Tunisia, Israele, Myanmar, solo negli ultimi quattro anni la Fondazione pontificia ha donato a progetti per i rifugiati oltre 600mila euro. Aiuti di emergenza, per il sostentamento ma anche sostegno alla pastorale e all’istruzione. Come «Save the Saveable», tra le iniziative storiche di ACS, un programma scolastico nato nel 1986 per i bambini dei campi profughi di Khartoum.Ecco perché, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, in tanti hanno voluto esprimere la propria gratitudine.
«A nome di tutti i nostri studenti ringrazio ACS e tutti i suoi benefattori» scrive dal Cairo padre Jamel Araya, missionario comboniano della Chiesa del Sacro Cuore. Nella capitale egiziana i comboniani promuovono da diversi anni un programma educativo per i piccoli rifugiati sudanesi - e ora anche sud-sudanesi - dai 5 ai 19 anni. «L’istruzione è un fattore chiave per lo sviluppo umano» spiega il religioso, aggiungendo con orgoglio che «quest’anno abbiamo avuto oltre 1200 iscritti nelle nostre tre scuole». I centri si trovano nei quartieri più poveri della città, lì dove vivono i profughi, e coinvolgono - tra insegnanti e personale - quasi un centinaio di rifugiati sudanesi. ACS sostiene le attività interculturali che mettono a confronto gli allievi con i loro coetanei egiziani. «Così i ragazzi condividono le loro culture e imparano ad aprirsi agli altri. E i nostri piccoli studenti possono integrarsi più facilmente nella società in cui vivono».
Dall’Egitto al Myanmar, dove l’anno scorso la Fondazione pontificia ha inviato aiuti di emergenza per i rifugiati nelle diocesi di Banmaw e Myitkyina. E poi a Tunisi, dove la Fondazione ha sostenuto i profughi libici.
Nel 2012 i progetti da realizzati da ACS per i rifugiati – per un totale di quasi 230mila euro - hanno seguito gli ultimi tragici avvenimenti. Indispensabile il supporto in Sudan, in particolare alle diocesi di El Obeid e Kosti che hanno ricevuto due delle maggiori donazioni. E in Siria, nella regione di Wadi Alnasara - che in arabo significa «Valle dei cristiani» - in cui dopo le violenze ad Homs e nei villaggi limitrofi sono fuggiti migliaia di fedeli.
Le necessità dei siriani vanno ad aggiungersi a quelle dei profughi iracheni che dal 2003 hanno varcato numerosi il confine, rifugiandosi in città come Damasco e Aleppo. Anche a loro ACS non ha mai fatto mancare il proprio appoggio: in Iraq come in Siria, in Giordania come in Turchia.
A Istanbul la Fondazione aiuta il programma dei padri salesiani per i piccoli rifugiati iracheni e le loro famiglie. Molti bambini non sanno leggere e scrivere perché in Iraq, a causa delle violenze, i genitori hanno preferito non mandarli a scuola. Con alcuni professori iracheni i religiosi insegnano a più di 100 alunni, mentre insieme ad alcuni volontari gestiscono un centro per i giovani. «Niente di tutto ciò sarebbe possibile senza Aiuto alla Chiesa che Soffre – afferma don Andrés Calleja, direttore dell’opera dei Padri Salesiani di Istanbul – che è per noi una mano amica capace di alleviare le nostre sofferenze e di darci nuovamente speranza, voglia di combattere e fiducia nell’umanità».
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