«Fausto è morto per il suo impegno in favore degli indigeni». Padre Sebastiano D’Ambra è missionario del Pime ed è nelle Filippine dal 1977; per diversi anni è stato superiore regionale di padre Fausto Tentorio, il sacerdote ucciso a Mindanao lunedì scorso. «Era un uomo semplice - ricorda padre D'Ambra - e per questo molto amato. Ricorderò sempre il suo sorriso».
ACS Italia - L’ultima volta si sono incontrati ad agosto per il ritiro spirituale organizzato ogni anno dal Pime. «Mi ha raccomandato di stare attento – racconta padre Sebastiano ad Aiuto alla Chiesa che Soffre – e io gli ho risposto di fare lo stesso. E' stata l'ultima volta che abbiamo avuto modo di parlare». Durante il ritiro, padre Tentorio aveva riferito ai suoi confratelli di «essere impegnato nella lotta contro le multinazionali». Il sacerdote - nato a S. Maria di Rovagnate, in provincia di Lecco - si batteva da anni in favore delle diverse tribù locali che abitano le zone montuose dell’isola. Gli indigeni sono stati depredati delle terre e spinti verso l’interno, prima dagli arabi e poi dai dominatori spagnoli. «Vittime della storia», li definisce padre D’Ambra, privati del loro spazio vitale dalle grandi compagnie minerarie e agricole in cerca d’oro e di nuovi appezzamenti.
Fin da quando era arrivato nelle Filippine nel 1978, padre Fausto Tentorio aveva lavorato con i tribali e, da qualche anno, il vescovo di Kitapawan, monsignor Romulo De la Cruz, gli aveva affidato anche la pastorale degli indigeni, secondo l’"Indigenous People Program". «Già nel 2003 era sfuggito a un attentato», racconta padre Sebastiano, mettendo in relazione la morte del missionario agli omicidi di altri due confratelli assassinati nel 1985 e nel 1992, Tullio Favali e Salvatore Carzedda. «Fausto è stato ucciso per la sua missione tra i tribali, Tullio per il suo impegno con i cristiani e Salvatore per il contributo al dialogo con i musulmani».
L’isola di Mindanao, a maggioranza musulmana, è da oltre quarant’anni teatro di scontri tra l’esercito filippino e gli estremisti islamici appartenenti al Milf (Moro Islamic Liberation Front) e ad Abu Sayyaf, gruppo di fondamentalisti legato ad Al-Qaeda. «Oggi – racconta ad ACS padre D’Ambra – viviamo un momento di transizione: c’è speranza, ma anche molti interrogativi». Ad agosto il Capo dello Stato, Benigno Aquino III, ha incontrato segretamente in Giappone il leader del Milf, Al Haj Murad Ebrahim.
«Il nuovo Presidente ha fatto alcune promesse e ora si parla di negoziare la pace. Staremo a vedere», è l'opinione di padre Sebastiano che ha dedicato la sua missione al dialogo interreligioso. Nel 1984 ha fondato il «Silsilah» - che in arabo significa "catena" – un’iniziativa per la promozione dei rapporti islamo-cristiani. «Si tratta di un movimento pionieristico – spiega il missionario – per cui ACS è un valido supporto, ma soprattutto una presenza amica». L’Opera, infatti, sostiene da diversi anni i progetti del Silsilah, come la Harmony Chain Initiative: un percorso spirituale per la pace e il dialogo. La "Catena" è nata nelle Filippine nel 2000 e si è diffusa rapidamente all’estero. Oggi la «Preghiera dell’armonia» è conosciuta in 25 Paesi.
Ai numerosi incontri e momenti di preghiera promossi dal Silsilah partecipano spesso dei musulmani. «E’ un cammino che percorriamo insieme – afferma padre Sebastiano – nonostante la paura e gli episodi di violenza». Parlando con ACS, il missionario descrive la lunga e impervia strada del dialogo interreligioso nell’isola di Mindanao. «L’incontro con il mondo islamico è ancora impraticabile a causa del fondamentalismo e della situazione politica. Ma non dobbiamo smettere di sperare e di impegnarci tutti».
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