Sui fondi per il Sud del mondo solo promesse, sui vincoli di riduzione delle emissioni di gas serra nessun accordo: è la fotografia dei negoziati sui cambiamenti climatici che fino a questa sera, o forse fino a domani, riuniscono nella città di Cancún ministri e diplomatici di 193 paesi.
Radio Vaticana - “Non abbiamo più tempo” ha ripetuto oggi Patricia Espinosa, la dirigente del ministero degli Esteri messicano che presiede la XVI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Fino a ieri alle trattative ufficiali se ne sono affiancate altre informali, con i rappresentanti di una quarantina di paesi. Quel canale però si è chiuso dopo la denuncia dei delegati boliviani, secondo i quali non erano state rispettate le regole per la rappresentanza di tutti i paesi. Inadempienze procedurali, che nascondono divergenze sostanziali.“I poveri e gli emergenti chiedono l’estensione del Protocollo di Kyoto, l’unico accordo vincolante sulle emissioni a oggi esistente” dice alla MISNA Elena Gerebizza, a Cancún con la Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm). Kyoto scade nel 2012 ma molti dei 37 paesi industrializzati firmatari del Protocollo non vogliono una “seconda fase” se non i vincoli non varranno anche per gli Stati Uniti e le potenze emergenti, Cina e India su tutte. A Cancún si aggira lo spettro di una nuova Copenhagen, la capitale danese dove un anno fa non ci fu accordo ma solo il via libera a tagli di emissioni “volontari”. Quello schema, del tutto inadeguato per contenere l’aumento delle temperature entro i due gradi centigradi come chiesto dagli esperti dell’Onu, rischia di essere riproposto. A parole ci sono convergenze su altre questioni, ad esempio gli stanziamenti perché i paesi poveri possano far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici e sviluppare fonti di energia “pulite”. A Copenhagen furono promessi 100 miliardi di dollari entro il 2013 e 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020. Ma di questi soldi, confermano alla MISNA da Cancún, finora non si è visto traccia. Secondo la Gerebizza, “per l’Africa i trasferimenti di fondi sono importanti quasi quanto l’estensione del Protocollo di Kyoto”. Difficile capire se queste preoccupazioni contino qualcosa. Molti paesi europei hanno mandato in riva all’Oceano Pacifico delegazioni faraoniche, 100 persone o più. Gli africani si sono spesso accontentati di un ministro e un accompagnatore: troppo pochi per seguire anche incontri paralleli o “ristretti”.
Radio Vaticana - “Non abbiamo più tempo” ha ripetuto oggi Patricia Espinosa, la dirigente del ministero degli Esteri messicano che presiede la XVI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Fino a ieri alle trattative ufficiali se ne sono affiancate altre informali, con i rappresentanti di una quarantina di paesi. Quel canale però si è chiuso dopo la denuncia dei delegati boliviani, secondo i quali non erano state rispettate le regole per la rappresentanza di tutti i paesi. Inadempienze procedurali, che nascondono divergenze sostanziali.“I poveri e gli emergenti chiedono l’estensione del Protocollo di Kyoto, l’unico accordo vincolante sulle emissioni a oggi esistente” dice alla MISNA Elena Gerebizza, a Cancún con la Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm). Kyoto scade nel 2012 ma molti dei 37 paesi industrializzati firmatari del Protocollo non vogliono una “seconda fase” se non i vincoli non varranno anche per gli Stati Uniti e le potenze emergenti, Cina e India su tutte. A Cancún si aggira lo spettro di una nuova Copenhagen, la capitale danese dove un anno fa non ci fu accordo ma solo il via libera a tagli di emissioni “volontari”. Quello schema, del tutto inadeguato per contenere l’aumento delle temperature entro i due gradi centigradi come chiesto dagli esperti dell’Onu, rischia di essere riproposto. A parole ci sono convergenze su altre questioni, ad esempio gli stanziamenti perché i paesi poveri possano far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici e sviluppare fonti di energia “pulite”. A Copenhagen furono promessi 100 miliardi di dollari entro il 2013 e 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020. Ma di questi soldi, confermano alla MISNA da Cancún, finora non si è visto traccia. Secondo la Gerebizza, “per l’Africa i trasferimenti di fondi sono importanti quasi quanto l’estensione del Protocollo di Kyoto”. Difficile capire se queste preoccupazioni contino qualcosa. Molti paesi europei hanno mandato in riva all’Oceano Pacifico delegazioni faraoniche, 100 persone o più. Gli africani si sono spesso accontentati di un ministro e un accompagnatore: troppo pochi per seguire anche incontri paralleli o “ristretti”.| Tweet |
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