Tra poche ore si chiuederà il Cop16 messicano, e l'accordo sul futuro del clima sembra a portata di mano degli Stati, che ora dovranno scigliogliere gli ultimi nodi sui vincoli di riduzione delle emissioni.
d
i Antonio Marafioti
PeaceRpoerter - La sedicesima conferenza delle parti sul clima di Cancun si avvia verso la sua fase conclusiva e tutte le potenze riunite in Yukatan, cercano di portare a casa un accordo che eviti un altro disastro diplomatico. Per scongiurare un ennesima "fumata nera" dal vertice messicano, i lavori sono proseguiti fino alla tarda notte di ieri. Dopo le dichiarazioni dell'India, uno dei paesi a forte crescita di Pil, sulla necessità di trovare un accordo che renda le riduzioni delle emissioni vincolanti, il cammino verso un patto internazionale potrebbe seguire due vie differenti, come ci ha raccontato da Cancun, Elena Gerebizza del Comitato di Riforma della Banca Mondiale: "Una è che si continui il percorso su due binari paralleli: proseguendo con la seconda fase di Kyoto e firmando un patto per la cooperazione a lungo termine, magari con avanzamenti su entrambi i fronti. La seconda è che le parti sottoscrivano questo nuovo accordo, sulla scia di quello presentato a Copenaghen, che farebbe ripartire tutto daccapo".
"Secondo noi - continua Gerebizza - è molto difficile che i Paesi del Sud accettino di entrare in un accordo voluto solo dagli Usa, se non altro per le implicazioni che avrebbero per loro: un aumento della temperatura di almeno 5 gradi, che va oltre ogni scenario di sostenibilità immaginato. È inaccettabile un accordo che preveda che la temperatura aumenti complessivamente di più di un grado. Già un grado e mezzo significherebbe condizioni estreme per ampie regioni del Pianeta, a partire dall'Africa".
L'intesa che invece sembra possibile, a prescindere dal rinnovo del Protocollo di Kyoto, è quella sugli obiettivi a lungo termine, che fisserebbe il limite del riscaldamento globale a una progressione di 1, 1,5 e 2 gradi, con una concentrazione di anidride carbonica di 350 parti per milioni (ppm) contro le attuali 394. Quello di Cancun è anche il summit delle decisioni finanziarie legate al clima.
Da subito è stato chiaro che verrà confermato il fondo da 30 miliardi di dollari da raggiungere, come deciso l'anno scorso in Danimarca, entro il 2012. Ancora nulla di fatto, invece, per il flusso da 100 miliardi di dollari l'anno che dovrà essere attivato entro il 2020. Un'impresa, questa, che potrebbe essere soddisfatta solo con la partecipazione di tutti i Paesi a un futuro accordo. Rimangono fermi sulle loro posizioni, per il momento, gli Stati Uniti, da una parte, che hanno sempre evitato di compromettersi nel trattato di Kyoto e in qualsiasi altro accordo vincolante, ma che appoggiano la proposta dell'Ue che non impone limiti definiti alle emissioni; e i Paesi in Via di Sviluppo, dall'altra, che, invece, vorrebbero paletti ben precisi per tutti gli Stati.
"Che gli Stati Uniti sottoscrivano la seconda fase di Kyoto è una possibilità estremamente remota - afferma Gerebizza - ma coloro che hanno sottoscritto quel trattato dovrebbero impegnarsi alla sua implementazione, indipendentemente dal fatto che ci siano gli Stati Uniti a bordo. Raggiungere un accordo su obiettivi di riduzione validi per tutti è, di fatto, la strada voluta da molti, e quella in cui diverse economie emergenti hanno dimostrato di volersi impegnare, come ha fatto la Cina un paio di giorni fa. Se poi c'è chi usa l'argomento Usa-Kyoto come scusa, allora è un altro conto. Sembra invece molto più probabile che Washington s'impegni concretamente sul negoziato a lungo termine".
Tra qualche ora si dovrà decidere del futuro degli accordi sul clima perché, a differenza dell'anno scorso, non potranno esserci rinvii a nuove sedi. Il Cop17 che si terrà a Durban, Sudafrica, dovrà essere quello delle intese finali e non delle concertazioni negoziali.
Questa si spera che sia l'unica consapevolezza della comunità internazionale alla ripresa dell'ultimo, e decisivo, giorno di lavori.
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i Antonio MarafiotiPeaceRpoerter - La sedicesima conferenza delle parti sul clima di Cancun si avvia verso la sua fase conclusiva e tutte le potenze riunite in Yukatan, cercano di portare a casa un accordo che eviti un altro disastro diplomatico. Per scongiurare un ennesima "fumata nera" dal vertice messicano, i lavori sono proseguiti fino alla tarda notte di ieri. Dopo le dichiarazioni dell'India, uno dei paesi a forte crescita di Pil, sulla necessità di trovare un accordo che renda le riduzioni delle emissioni vincolanti, il cammino verso un patto internazionale potrebbe seguire due vie differenti, come ci ha raccontato da Cancun, Elena Gerebizza del Comitato di Riforma della Banca Mondiale: "Una è che si continui il percorso su due binari paralleli: proseguendo con la seconda fase di Kyoto e firmando un patto per la cooperazione a lungo termine, magari con avanzamenti su entrambi i fronti. La seconda è che le parti sottoscrivano questo nuovo accordo, sulla scia di quello presentato a Copenaghen, che farebbe ripartire tutto daccapo".
"Secondo noi - continua Gerebizza - è molto difficile che i Paesi del Sud accettino di entrare in un accordo voluto solo dagli Usa, se non altro per le implicazioni che avrebbero per loro: un aumento della temperatura di almeno 5 gradi, che va oltre ogni scenario di sostenibilità immaginato. È inaccettabile un accordo che preveda che la temperatura aumenti complessivamente di più di un grado. Già un grado e mezzo significherebbe condizioni estreme per ampie regioni del Pianeta, a partire dall'Africa".
L'intesa che invece sembra possibile, a prescindere dal rinnovo del Protocollo di Kyoto, è quella sugli obiettivi a lungo termine, che fisserebbe il limite del riscaldamento globale a una progressione di 1, 1,5 e 2 gradi, con una concentrazione di anidride carbonica di 350 parti per milioni (ppm) contro le attuali 394. Quello di Cancun è anche il summit delle decisioni finanziarie legate al clima.
Da subito è stato chiaro che verrà confermato il fondo da 30 miliardi di dollari da raggiungere, come deciso l'anno scorso in Danimarca, entro il 2012. Ancora nulla di fatto, invece, per il flusso da 100 miliardi di dollari l'anno che dovrà essere attivato entro il 2020. Un'impresa, questa, che potrebbe essere soddisfatta solo con la partecipazione di tutti i Paesi a un futuro accordo. Rimangono fermi sulle loro posizioni, per il momento, gli Stati Uniti, da una parte, che hanno sempre evitato di compromettersi nel trattato di Kyoto e in qualsiasi altro accordo vincolante, ma che appoggiano la proposta dell'Ue che non impone limiti definiti alle emissioni; e i Paesi in Via di Sviluppo, dall'altra, che, invece, vorrebbero paletti ben precisi per tutti gli Stati.
"Che gli Stati Uniti sottoscrivano la seconda fase di Kyoto è una possibilità estremamente remota - afferma Gerebizza - ma coloro che hanno sottoscritto quel trattato dovrebbero impegnarsi alla sua implementazione, indipendentemente dal fatto che ci siano gli Stati Uniti a bordo. Raggiungere un accordo su obiettivi di riduzione validi per tutti è, di fatto, la strada voluta da molti, e quella in cui diverse economie emergenti hanno dimostrato di volersi impegnare, come ha fatto la Cina un paio di giorni fa. Se poi c'è chi usa l'argomento Usa-Kyoto come scusa, allora è un altro conto. Sembra invece molto più probabile che Washington s'impegni concretamente sul negoziato a lungo termine".
Tra qualche ora si dovrà decidere del futuro degli accordi sul clima perché, a differenza dell'anno scorso, non potranno esserci rinvii a nuove sedi. Il Cop17 che si terrà a Durban, Sudafrica, dovrà essere quello delle intese finali e non delle concertazioni negoziali.
Questa si spera che sia l'unica consapevolezza della comunità internazionale alla ripresa dell'ultimo, e decisivo, giorno di lavori.
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