domenica, luglio 26, 2009
Scuote l'America il caso di una bambina stuprata e non più accettata dai genitori liberiani perché «disonorata». Centinaia di offerte negli Usa. Appello della presidente della Liberia: cambiare mentalità.

Washington — Lo stu­pro di gruppo di una bambi­na liberiana di 8 anni da parte di due bambini, uno di 9 e l’altro di 10 anni, e di due ragazzi, uno di 13 e l’al­tro di 14 anni, anch’essi li­beriani, e il rifiuto dei suoi genitori di tenerla in fami­glia perché «disonorata» hanno sconvolto l’America e spinto il presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, a intervenire. In base alla legge dello Sta­to dell’Arizona, dov’è avve­nuto il tragico episodio, un giudice ha rinviato a proces­so il quattordicenne come adulto e i tre complici come minori, con l’imputazione di sequestro oltre che di stu­pro. E ha affidato tempora­neamente la bambina, per cui sono arrivate da tutta l’America centinaia di offer­te di adozione, a una agen­zia statale, il Servizio di pro­tezione infantile. Dalla Libe­ria, la signora Sirleaf — pro­motrice di una forte campa­gna anti stupri nel suo Paese — ha rivolto un appello alla famiglia perché la riprenda.

L'AGGUATO - La bambina fu violentata il 16 luglio a Phoenix. I suoi stupratori l’attrassero in un edificio abbandonato con gomme da masticare e cara­melle e a turno infierirono su di lei per un quarto d’ora. Le sue grida di terrore e dolo­re allarmarono i vicini, che chiamarono la poli­zia. Ha detto il sergen­te Andy Hill che gli agenti subito accor­si videro i quattro fuggire in lontanan­za. «La vittima era in stato pietoso» ha raccontato Hill «e in preda a trau­ma». Dopo la visita in ospedale, gli agenti la riportarono a casa, ma il padre le chiuse la porta in faccia. Dichiarò che la bambina aveva disonorato la famiglia, che non la vole­va più, che la portassero via.

L'ARRESTO - Alla polizia riuscì facile identificare e arrestare gli stupratori, dal giorno suc­cessivo rinchiusi in un car­cere minorile. Andrew Thomas, il procu­ratore della Contea di Mari­poca, di cui Phoenix fa par­te, è deciso a fare giustizia. «Hanno agito come un bran­co di lupi» ha detto dei quat­tro. «E il comportamento della famiglia è inaccettabi­le. La bimba ha bisogno di affetto e sicurezza». Thomas dubita di potere in­criminare i genitori di abbandono di mi­nore: «Ma la città è in fermento, non ca­pisce come nella co­munità liberiana si possa incolpare di stu­pro la vittima». Un di­vario culturale che mi­naccia di ritorcersi contro gli immigrati neri. Tony Wee­der, un liberiano del Colora­do fondatore del Center­point international per i con­nazionali in America, ha rife­rito che nel suo Paese talvol­ta gli stupri sono ancora giu­dicati voluti o provocati dal­le donne e il pregiudizio è difficile da sradicare: «Quel­la povera bambina è anche vittima di un costume che combattiamo da tempo».

L'APPELLO DALLA LIBERIA - In un’intervista televisiva alla Cnn dalla Liberia, la Sir­leaf ha rimproverato alla fa­miglia di avere commesso un grave sbaglio: «Deve aprirle le braccia, non impri­merle un marchio che la dan­neggerà per tutta la vita, e deve collaborare con le auto­rità americane». Il presiden­te Sirleaf, un tempo residen­te in America, ha ricordato di avere lanciato la sua cam­pagna anti stupri in Liberia proprio per tutelarne le vitti­me, e di avere reso pubblico che anche lei fu oggetto di tentata violenza sessuale, durante la guerra civile: «Da noi non si tollerano più cri­mini così orrendi», ha soste­nuto. Nathaniel Barnes, l’am­basciatore liberiano a Washington, ha invitato Phoenix a non mettere sotto accusa tutti gli immigrati: «Anche per la stragrande maggioranza di loro è inam­missibile che una bambina di 8 anni venga ostracizzata dalla famiglia dopo un dram­ma del genere».

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