16 attivisti per i diritti umani, tra i quali la nota Jestina Mukoko, restano in carcere con l’improbabile accusa di organizzare un colpo di stato contro il presidente Mugabe.
Nigrizia - Restano in carcere 16 attivisti per i diritti umani in Zimbabwe, arrestati dalla polizia dello Zimbabwe con l’accusa di reclutare milizie da addestrare nel vicino Botswana per organizzare un colpo di stato contro il presidente dittatore del paese Robert Mugabe. Secondo il governo di Harare, infatti, Gaborone sostiene l’opposizione a Mugabe, ed ospita dei campi militari per la formazione di milizie pronte a organizzare un colpo di stato.
Oggi il tribunale dello Zimbabwe ha confermato l'arresto, in attesa del verdetto della Corte suprema che dovrà deliberare sulla loro condanna. Molti di loro sono risultati scomparsi per settimane, prima di riapparire nelle carceri di Harare. I loro difensori denunciano torture e intimidazioni nei loro confronti da parte della polizia.
Tra gli attivisti anche Jestina Mukoko, direttore della ong 'Zimbabwe Peace Project' (Zpp), una delle più importanti leader del movimento per i Diritti Umani dello Zimbabwe, sequestrata da uomini armati dalla sua abitazione il 3 dicembre. La polizia ha inizialmente negato di essere coinvolta nel suo rapimento, affermando che la Mukoko sarebbe stata loro “consegnata” solo la settimana scorsa. Accusata di banditismo e sovversione, sulle sue eventuali responsabilità il giudice non si è ancora espresso.
Anche l'Unione europea aveva ufficialmente chiesto, il 12 dicembre scorso, il rilascio di Justina Mukoko, che in Zimbabwe è nota soprattutto per aver creato una rete di attivisti alla quale appartengono persone di ogni estrazione sociale, dai missionari agli insegnati, agli abitanti dei quartieri più poveri. Grazie a questa rete Mukoko ha denunciato più volte gli abusi commessi dalla polizia e dal regime di Robert Mugabe.
Questo è solo l’ultimo episodio che dimostra come la ricerca di un accordo per la condivisione del potere non sia credibile. Il leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai, che da mesi non rimette piede sul suolo zimbabwano, ha indicato la fine delle persecuzioni contro gli attivisti come precondizione per riprendere il dialogo con il governo di Mugabe. Un dialogo che il regime dimostra di non aver mai veramente preso in considerazione.
Intanto il numero di vittime per l’epidemia di colera in corso del paese aumenta, e la popolazione continua a dover fare i conti con un’inflazione record, crisi economica e il conseguente ritorno dello spettro della fame.
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Tra gli attivisti anche Jestina Mukoko, direttore della ong 'Zimbabwe Peace Project' (Zpp), una delle più importanti leader del movimento per i Diritti Umani dello Zimbabwe, sequestrata da uomini armati dalla sua abitazione il 3 dicembre. La polizia ha inizialmente negato di essere coinvolta nel suo rapimento, affermando che la Mukoko sarebbe stata loro “consegnata” solo la settimana scorsa. Accusata di banditismo e sovversione, sulle sue eventuali responsabilità il giudice non si è ancora espresso.
Anche l'Unione europea aveva ufficialmente chiesto, il 12 dicembre scorso, il rilascio di Justina Mukoko, che in Zimbabwe è nota soprattutto per aver creato una rete di attivisti alla quale appartengono persone di ogni estrazione sociale, dai missionari agli insegnati, agli abitanti dei quartieri più poveri. Grazie a questa rete Mukoko ha denunciato più volte gli abusi commessi dalla polizia e dal regime di Robert Mugabe.
Questo è solo l’ultimo episodio che dimostra come la ricerca di un accordo per la condivisione del potere non sia credibile. Il leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai, che da mesi non rimette piede sul suolo zimbabwano, ha indicato la fine delle persecuzioni contro gli attivisti come precondizione per riprendere il dialogo con il governo di Mugabe. Un dialogo che il regime dimostra di non aver mai veramente preso in considerazione.
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