Il problema educativo nel mondo a sessant'anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
L'Osservatore Romano - In occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo si è svolto a Roma, presso il Salesianum, un congresso internazionale organizzato dal Dicastero della pastorale giovanile della congregazione salesiana sul tema "Sistema preventivo e diritti umani". Pubblichiamo stralci di alcuni interventi. Di apertura del Presidente della Corte Costituzionale Italiana, a lato del Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all'educazione e, in basso, del Rettore maggiore dei salesiani.
Sui diritti umani c'è necessità di un approccio concreto, come, ad esempio, quello proposto dall'articolo 3 della Costituzione italiana, dove si sancisce l'eguaglianza di fronte alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche o di condizioni personali e sociali; ma dove si afferma anche che tutto ciò non è sufficiente, poiché, accanto a tale eguaglianza formale, occorre garantire l'eguaglianza sostanziale, cercando cioè di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e, quindi, la piena partecipazione di tutti alla vita economica, sociale e politica. Per fare un esempio concreto, non è sufficiente garantire, formalmente e a tutti, l'inviolabilità del domicilio: occorre - accanto e prima di tale riconoscimento - assicurare a tutti l'effettività di un domicilio. In caso contrario, la garanzia formale della libertà rimane soltanto principio astratto e vuota proclamazione. In breve: occorre sempre "sentire" i diritti col cuore, prima di cercare di definirli con la testa.
Vorrei stabilire un paragone tra la concretezza a cui si ispira questo congresso e la solidarietà umana e la carità: quella, per intenderci, di cui parla san Paolo nella lettera ai Corinzi. Per cercare di capire le dignità e i diritti umani dobbiamo collocarci in questa logica.
Non sappiamo bene che cosa sia, in termini positivi, la dignità. È difficile definirla, ma ne abbiamo percezione intuitiva: sappiamo innanzitutto, e certamente, cosa essa non è. Non è dignità il barbone che è morto di freddo qualche giorno fa in una civilissima città italiana, sotto i portici di un teatro, perché erano state portate via le coperte con cui si copriva. Non sono dignità la mamma e il bambino morti nell'incendio della baracca dove cercavano di scaldarsi, in una gelida pineta di Castelfusano. Non è dignità il fatto che circa ottocento milioni di bambini e adolescenti, nel mondo, siano sfruttati dalla pornografia o dal lavoro in condizioni di schiavitù, arruolati come soldati, abbandonati nelle strade o destinati a morire di fame.
Tutte le proclamazioni dei diritti - dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, alla Convenzione dei diritti del fanciullo, alla Carta europea dei diritti fondamentali - sono incentrate sulla dignità quale premessa dei diritti umani e la richiamano in vario modo.
Essa diviene la testata d'angolo che sorregge ogni costruzione dei diritti fondamentali: anche se, spesso, costituisce proprio la pietra scartata da un'umanità dimentica di sé.
C'è una ragione per tutto ciò: la dignità è un ponte tra un passato, anche recente, di una guerra mondiale - in cui la dignità umana è stata calpestata dalle stragi dei civili, dalle armi di distruzione di massa, dai campi di sterminio - e un presente e un futuro in cui vi è il rischio di altrettante violazioni, nonostante si sia sentito il bisogno, nelle varie dichiarazioni universali, di scrivere "mai più".
Non c'è niente di più fragile di questo "mai più": perché, anche nel presente, e nonostante la lezione del passato, la dignità umana continua a essere oltraggiata. Penso al Rwanda, al Darfur, alla ex Jugoslavia e, adesso, al Congo e a Gaza.
Stiamo vivendo in una società globale in cui la crisi dell'economia ci dimostra come sia prevalsa la logica del profitto e nella quale il terrorismo e la violenza sono divenuti anch'essi globali.
Ecco perché la dignità è un ponte tra gli errori e gli orrori del passato e un futuro in cui vorremmo che questi errori e questi orrori non si ripetessero.
La dignità è una qualità, un attributo di tutti e di ciascuno di noi, sia che la si fondi sulla concezione cattolico-cristiana della dignità di ogni persona - in quanto immagine di Dio - sia che la si colleghi a una concezione laica, altrettanto importante, secondo la quale la dignità è propria di ciascuno di noi in quanto, come afferma Kant, l'uomo è una identità responsabile che deve guardare agli altri sempre come fine e mai come mezzo.
La dignità è legata alla eguaglianza: siamo tutti uguali pur essendo tutti diversi e pur avendo, tutti, il diritto alla nostra diversità e alla nostra identità. Penso al metodo educativo di don Bosco come all'emblema, al modello per evitare sia una assimilazione generalizzata, in cui tutti devono essere forzatamente uguali; sia una emarginazione indeterminata, di tutti coloro che sono diversi. La diversità, che è un diritto collegato alla propria identità, non può mai diventare inferiorità. Dobbiamo combattere il rischio di una tale deriva.
Sono convinto che l'educazione si incentri proprio sulla dignità, sul riconoscere e rispettare la dignità nell'altro, aiutandolo a riconoscere e rispettare, a sua volta, la dignità degli altri, specialmente più deboli o emarginati: in una parola, gli "ultimi" del linguaggio evangelico o, nel suadente linguaggio della nostra moderna sociologia, i "diversi". Costoro, in realtà, non sono affatto diversi: sono più uguali degli altri e hanno più bisogno di altri a che li si aiuti a intravedere e a riconoscere la propria dignità, nel rispetto di quella degli altri. Perché quando si ha fame, ma anche quando si è ignoranti o quando non si ha lavoro, non è facile riconoscere il "prossimo", accomunandosi e sentendosi parte dell'umanità.
Vorrei infine collegarmi a una riflessione fatta, in piena consonanza, da Benedetto XVI e dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, nel messaggio di inizio d'anno sulla crisi finanziaria, economica, sociale che affligge tutto il mondo. Essa - si è detto - nasce dal fatto che abbiamo messo il profitto al posto del lavoro e abbiamo messo l'economia finanziaria al posto dell'economia reale. Bisogna reagire perché, forse, questa crisi può diventare fattore di crescita anche spirituale e di nuove prospettive, se solo riusciremo a recuperare il senso del lavoro e di un profitto a esso proporzionato.
E, si badi, questo è problema che riguarda anche (soprattutto?) le società del benessere come la nostra, dove lo sfruttamento nel lavoro nero o dove le morti sul lavoro - più di mille all'anno - testimoniano come ci sia ancora bisogno di ricordare che uno dei primi diritti fondamentali è il diritto al lavoro. Quando dico questo, intendo ricollegarmi idealmente all'esperienza di don Bosco, che fu il primo a battersi per introdurre dei patti, delle regole per l'apprendistato onde avviare i giovani al lavoro nel rispetto della loro dignità. (continua a leggere)
di Giovanni Maria Flick
L'Osservatore Romano - In occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo si è svolto a Roma, presso il Salesianum, un congresso internazionale organizzato dal Dicastero della pastorale giovanile della congregazione salesiana sul tema "Sistema preventivo e diritti umani". Pubblichiamo stralci di alcuni interventi. Di apertura del Presidente della Corte Costituzionale Italiana, a lato del Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all'educazione e, in basso, del Rettore maggiore dei salesiani.Sui diritti umani c'è necessità di un approccio concreto, come, ad esempio, quello proposto dall'articolo 3 della Costituzione italiana, dove si sancisce l'eguaglianza di fronte alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche o di condizioni personali e sociali; ma dove si afferma anche che tutto ciò non è sufficiente, poiché, accanto a tale eguaglianza formale, occorre garantire l'eguaglianza sostanziale, cercando cioè di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e, quindi, la piena partecipazione di tutti alla vita economica, sociale e politica. Per fare un esempio concreto, non è sufficiente garantire, formalmente e a tutti, l'inviolabilità del domicilio: occorre - accanto e prima di tale riconoscimento - assicurare a tutti l'effettività di un domicilio. In caso contrario, la garanzia formale della libertà rimane soltanto principio astratto e vuota proclamazione. In breve: occorre sempre "sentire" i diritti col cuore, prima di cercare di definirli con la testa.
Vorrei stabilire un paragone tra la concretezza a cui si ispira questo congresso e la solidarietà umana e la carità: quella, per intenderci, di cui parla san Paolo nella lettera ai Corinzi. Per cercare di capire le dignità e i diritti umani dobbiamo collocarci in questa logica.
Non sappiamo bene che cosa sia, in termini positivi, la dignità. È difficile definirla, ma ne abbiamo percezione intuitiva: sappiamo innanzitutto, e certamente, cosa essa non è. Non è dignità il barbone che è morto di freddo qualche giorno fa in una civilissima città italiana, sotto i portici di un teatro, perché erano state portate via le coperte con cui si copriva. Non sono dignità la mamma e il bambino morti nell'incendio della baracca dove cercavano di scaldarsi, in una gelida pineta di Castelfusano. Non è dignità il fatto che circa ottocento milioni di bambini e adolescenti, nel mondo, siano sfruttati dalla pornografia o dal lavoro in condizioni di schiavitù, arruolati come soldati, abbandonati nelle strade o destinati a morire di fame.
Tutte le proclamazioni dei diritti - dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, alla Convenzione dei diritti del fanciullo, alla Carta europea dei diritti fondamentali - sono incentrate sulla dignità quale premessa dei diritti umani e la richiamano in vario modo.
Essa diviene la testata d'angolo che sorregge ogni costruzione dei diritti fondamentali: anche se, spesso, costituisce proprio la pietra scartata da un'umanità dimentica di sé.
C'è una ragione per tutto ciò: la dignità è un ponte tra un passato, anche recente, di una guerra mondiale - in cui la dignità umana è stata calpestata dalle stragi dei civili, dalle armi di distruzione di massa, dai campi di sterminio - e un presente e un futuro in cui vi è il rischio di altrettante violazioni, nonostante si sia sentito il bisogno, nelle varie dichiarazioni universali, di scrivere "mai più".
Non c'è niente di più fragile di questo "mai più": perché, anche nel presente, e nonostante la lezione del passato, la dignità umana continua a essere oltraggiata. Penso al Rwanda, al Darfur, alla ex Jugoslavia e, adesso, al Congo e a Gaza.
Stiamo vivendo in una società globale in cui la crisi dell'economia ci dimostra come sia prevalsa la logica del profitto e nella quale il terrorismo e la violenza sono divenuti anch'essi globali.
Ecco perché la dignità è un ponte tra gli errori e gli orrori del passato e un futuro in cui vorremmo che questi errori e questi orrori non si ripetessero.
La dignità è una qualità, un attributo di tutti e di ciascuno di noi, sia che la si fondi sulla concezione cattolico-cristiana della dignità di ogni persona - in quanto immagine di Dio - sia che la si colleghi a una concezione laica, altrettanto importante, secondo la quale la dignità è propria di ciascuno di noi in quanto, come afferma Kant, l'uomo è una identità responsabile che deve guardare agli altri sempre come fine e mai come mezzo.
La dignità è legata alla eguaglianza: siamo tutti uguali pur essendo tutti diversi e pur avendo, tutti, il diritto alla nostra diversità e alla nostra identità. Penso al metodo educativo di don Bosco come all'emblema, al modello per evitare sia una assimilazione generalizzata, in cui tutti devono essere forzatamente uguali; sia una emarginazione indeterminata, di tutti coloro che sono diversi. La diversità, che è un diritto collegato alla propria identità, non può mai diventare inferiorità. Dobbiamo combattere il rischio di una tale deriva.
Sono convinto che l'educazione si incentri proprio sulla dignità, sul riconoscere e rispettare la dignità nell'altro, aiutandolo a riconoscere e rispettare, a sua volta, la dignità degli altri, specialmente più deboli o emarginati: in una parola, gli "ultimi" del linguaggio evangelico o, nel suadente linguaggio della nostra moderna sociologia, i "diversi". Costoro, in realtà, non sono affatto diversi: sono più uguali degli altri e hanno più bisogno di altri a che li si aiuti a intravedere e a riconoscere la propria dignità, nel rispetto di quella degli altri. Perché quando si ha fame, ma anche quando si è ignoranti o quando non si ha lavoro, non è facile riconoscere il "prossimo", accomunandosi e sentendosi parte dell'umanità.
Vorrei infine collegarmi a una riflessione fatta, in piena consonanza, da Benedetto XVI e dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, nel messaggio di inizio d'anno sulla crisi finanziaria, economica, sociale che affligge tutto il mondo. Essa - si è detto - nasce dal fatto che abbiamo messo il profitto al posto del lavoro e abbiamo messo l'economia finanziaria al posto dell'economia reale. Bisogna reagire perché, forse, questa crisi può diventare fattore di crescita anche spirituale e di nuove prospettive, se solo riusciremo a recuperare il senso del lavoro e di un profitto a esso proporzionato.
E, si badi, questo è problema che riguarda anche (soprattutto?) le società del benessere come la nostra, dove lo sfruttamento nel lavoro nero o dove le morti sul lavoro - più di mille all'anno - testimoniano come ci sia ancora bisogno di ricordare che uno dei primi diritti fondamentali è il diritto al lavoro. Quando dico questo, intendo ricollegarmi idealmente all'esperienza di don Bosco, che fu il primo a battersi per introdurre dei patti, delle regole per l'apprendistato onde avviare i giovani al lavoro nel rispetto della loro dignità. (continua a leggere)
di Giovanni Maria Flick
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