venerdì, giugno 27, 2008

Un rapporto accusa l'India di abusi sistematici nelle carceri, con migliaia di morti in cinque anni.

PeaceReporter - Detenuti che si suicidano a poche ore dall'arresto impiccandosi con asciugamani e mutande, ingoiando veleno, toccando fili elettrici esposti. Oppure morti in ospedale dopo improvvisi attacchi di cuore, o per le conseguenze della rissa per cui sono stati arrestati. A leggere i rapporti della polizia, nelle carceri indiane si morirebbe così. Ma secondo l'Asian Centre for Human Rights (Achr), dietro le versioni ufficiali si nascondo in realtà migliaia di casi di torture nei penitenziari del Paese, che spesso finiscono con la morte del detenuto. E nel rapporto “Tortura in India 2008: uno stato di negazione”, l'organizzazione accusa le autorità indiane di coprire sempre le forze dell'ordine, creando un clima di impunità che a sua volte favorisce la continuazione degli abusi.

I dati. Tra il 2002 e il 2007, secondo il gruppo per i diritti umani, nelle carceri indiane sono morte o sono state uccise 7.468 persone, ossia quattro al giorno. Nei centri gestiti dalle forze armate e paramilitari, impegnate contro i vari movimenti ribelli ancora attivi in particolare nel nord-est, si stima che il numero dei decessi sia uguale o addirittura superiore. Il ministro degli interni ha attribuito queste morti in prigionia a “malattia o decessi naturali, tentativi di fuga, suicidi, attacchi da parte di altri criminali, rivolte, incidenti o insufficienti cure ospedaliere”, si legge nel rapporto.

Torture diffuse. In realtà, la ricerca dell'Achr ha portato allo scoperto decine di casi documentati di torture, passate sotto silenzio dalle autorità. Detenuti immobilizzati e picchiati, seviziati con shock elettrici, portati al limite dell'annegamento, frustati con gambi di rose, o sottoposti a pratiche crudeli come l'inserimento di puntine sotto le unghie. Nel caso di donne arrestate, in particolare se appartenenti alle caste inferiori, sono stati segnalati stupri di gruppo da parte degli agenti. Secondo l'Achr, nell'insabbiare gli abusi è fondamentale anche il ruolo dei medici carcerari, che si rendono complici non denunciando le anomalie riscontrate nelle autopsie dei detenuti morti durante la prigionia.

Impunità. Nel rapporto, l'Achr definisce un “pervasivo regime di impunità” come il fattore più importante nel rendere istituzionale il diffuso utilizzo della tortura. “Centinaia di persone vengono uccise, decine ricevono dei risarcimenti, ma solo tre o quattro persone sono condannate ogni anno”, ha affermato Suhas Chakma, il direttore dell'organizzazione. Nel combattere gli abusi, sostiene l'Achr, la magistratura “ha avuto un ruolo lodevole, ma il lavoro dei tribunali è ostacolato dalla mancanza di una legislazione specifica contro la tortura, dalle immunità garantite al personale delle forze dell'ordine e dalle leggi di sicurezza nazionale, oltre che dal problema più generale dei ritardi nella giustizia”, si legge nel rapporto.

Mancata adesione ai trattati internazionali. Sulla tortura, Nuova Delhi è indietro anche per quanto riguarda l'adesione alle leggi internazionali. L'India si è rifiutata di invitare l'osservatore speciale dell'Onu sulla tortura dal 1993, al contrario di altri Stati asiatici sospettati di violazioni dei diritti umani – come Pakistan, Cina, Sri Lanka, Nepal. Non è neanche stata mai ratificata la Convenzione contro la tortura firmata nel 1997. “Il comportamento dell'India sulla questione della lotta alla tortura e la cooperazione con gli organi dell'Onu non corrobora la sua rivendicazione di essere la più grande democrazia, né la sua aspirazione a diventare membro del Consiglio di sicurezza dell'Onu”, ha aggiunto Chakma.

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