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giovedì, marzo 15, 2012

Chiara d’Assisi e le fonti clariane

In occasione dell’VIII centenario della consacrazione di santa Chiara la Pontificia Università Antonianum di Roma ha organizzato, in collaborazione con le Edizioni Porziuncola, un Seminario di studio sulle fonti di Chiara d’Assisi.

di Monica Cardarelli

Venerdì 9 marzo si è svolto presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, il Seminario “Chiara d’Assisi e le fonti clariane”. Alla giornata di studio sono intervenuti molti dei principali studiosi di santa Chiara come Maria Pia Alberzoni, Marco Bartoli, Padre Giovanni Boccali, Marco Guida, Jacques Dalarun, Carlo Paolazzi, Leonard Lehmann, Attilio Bartoli Langeli e molti altri. Il Seminario, organizzato in occasione dell’VIII centenario della consacrazione di Chiara, ha rappresentato un’occasione preziosa... (continua)
lunedì, marzo 12, 2012

Szymborska, la poetessa che disincanta con le parole

Ritratto di una donna in grado di trasformare l’ordinario di ogni giorno in qualcosa di straordinario

di Paola Bisconti

Wislawa Szymborska è morta il 1° febbraio 2012. Pochi giorni dopo Roberto Saviano, durante il programma “Che tempo che fa” condotto da Fabio Fazio, ha ricordato la nobile figura della grande poetessa. In Italia erano in pochi a conoscerla: i prediletti. Anche se circa 10 anni fa Josif Brodskij, un poeta russo, parlò di lei a Torino in occasione della cerimonia di inaugurazione della “Fiera del libro”. Poi nel 2003 la poetessa polacca fu ospitata presso il Teatro Valle, a Roma, dove rapì l’attenzione del pubblico con un reading di letture delle sue liriche... (continua)
sabato, marzo 10, 2012

Maria Corti, l’Idrusa della cultura

Iniziamo oggi, in esclusiva per La Perfetta Letizia, un ciclo di articoli su "grandi donne" che hanno contribuito a far crescere l'Italia nei più svariati campi. Partiamo con un omaggio a Maria Corti, l’intellettuale che scardinò il linguaggio accademico con l’intensità della scrittura creativa.

di Paola Bisconti

“Al di là degli eventi che passano, le carte durano, ciascuna con la minuscola storia, e vivono in quella che Borges chiama la nostra ‘quarta dimensione, la memoria’. E quando anche noi ce ne andremo, loro, le carte, resteranno lì e non sapranno mai che non ci saremo più”. Prima che il 22 febbraio del 2002 Maria Corti ci lasciasse, scriveva senza poter immaginare in quanti avrebbero letto le sue carte. È stata la prima italiana filologa ad ottenere un riconoscimento generale in un mondo dominato dai colleghi uomini... (continua)
giovedì, gennaio 12, 2012

Michele Pierri: il poeta che svela i segreti della poesia

Viaggio in una lirica dove le sensazioni diventano pensiero, la bellezza si tramuta in versi, l’anima si accosta all’assoluto

di Paola Bisconti

Lo spirito francescano di Michele Pierri racchiude le caratteristiche di un uomo intento ad addentrarsi nei dogmi religiosi attraverso la poesia. Percorrendo quasi un secolo di vita, Pierri conduce un’esistenza ricca di eventi, che lo inducono a scrivere e a descrivere con passione una intensa quotidianità. Nato a Napoli nel 1899, consegue la laurea nella stessa città, dove conosce Giuseppe Moscati, diventando, da allievo universitario, suo assistente come medico di bordo durante le rotte tra il Brasile e l’Argentina... (continua)
giovedì, gennaio 12, 2012

Dio attende alla frontiera

È in libreria da gennaio 2012 il nuovo libro di Renato Zilio: "Dio attende alla frontiera". Prefazione di Don Pietro Vittorelli, abate di Montecassino

Riflessioni, come pagine di diario, suggerite a Renato Zilio dagli incontri quotidiani con i migranti, le persone “di frontiera” in cui – a Londra come in Marocco o a Parigi – l’Autore rinviene tracce del volto di Dio. «In emigrazione, a contatto con mondi culturali diversi – afferma padre Zilio - si capisce quanto nella nostra cultura e nel nostro spirito siano rimaste annidate abitudini antiche. Ormai, in un mondo dal pensiero sistemico e globalizzante, la sinergia è diventata una parola-chiave per vincere. Saper collaborare con chi la pensa diversamente, con chi è su un’altra sponda: questo è pensare al bene comune, anzi un agire comune. È il messaggio dei nostri emigranti in situazioni di emergenza come quella l’attuale: saper lottare per una causa comune» (da perfettaletizia.blogspot.com)... (continua)
venerdì, dicembre 16, 2011

Le fiabe di Silvio Foini regalo per Natale

Il parroco di Mozzate-Tradatese don Luigi ha raccolto e stampato in proprio le storie scritte dal nostro redattore Silvio Foini

Il Notiziario (Mozzate) – Animali parlanti, qualche bimbo birichino e tanti insegnamenti sui valori cristiani sono i protagonisti della fiabe scritte da Silvio Foini, scrittore mozzatese, e che sono state raccolte da Don Liugi Alberio per essere donate ai piccoli dell’oratorio. Ma andiamo con ordine: tutto è iniziato qualche anno fa quando Foini, fin da giovane dedito alla scrittura tanto da aver pubblicato anche qualche romanzo, ha iniziato a curare la rubrica di fiabe sul giornale on line ‘La Perfetta Letizia’ (www.laperfettaletizia.com)... (continua)
domenica, ottobre 23, 2011

Andrea Zanzotto, poeta eterno

Da “Dietro al paesaggio” a “Conglomerati”: unità di poesia e di pensiero

di Benedetta Biasci

Andrea Zanzotto, morto il 18 ottobre all’ospedale di Conegliano Veneto, è stato uno dei più grandi autori della poesia italiana del Novecento, caldeggiato addirittura più volte per il Nobel per la letteratura. Aveva compiuto da pochi giorni novant’anni, ma non aveva mai smesso di dedicarsi al suo grande amore, la poesia. La sua vita peraltro è stata sempre molto movimentata, ricca di interessi e di emozioni: partecipò alla Resistenza nella fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda... (continua)
venerdì, ottobre 07, 2011

Il Premio Nobel Tomas Tranströmer

Tomas Tranströmer ha vinto il premio Nobel per la Letteratura 2011: è poeta, psicologo, traduttore. La sua poesia è stata profondamente influente nella nativa Svezia, ma anche nel resto del mondo, tanto che il suo lavoro è stato tradotto in almeno una cinquantina di lingue.

di Claudia Zichi

L’Accademia svedese nella motivazione fa riferimento alle “sue immagini dense, limpide”, che offrono “un nuovo accesso alla realtà”. L’annuncio a Stoccolma è stato accolto con un boato di applausi nella sala stracolma di giornalisti. In Italia Tranströmer è pubblicato da Crocetti, per il quale uscirà nelle prossime settimane una nuova raccolta, Il grande mistero. Tranströmer è nato nel 1931 a Stoccolma. Si é laureato in psicologia nel 1956 e ha iniziato a lavorare in un istituto per minorenni disadattati nel 1960. Insieme psicologo e anche poeta, ha lavorato con disabili, carcerati e tossicodipendenti... (continua)
mercoledì, luglio 20, 2011

“Per sempre”, una gioia condivisa

“Per sempre”, l’ultimo romanzo di Susanna Tamaro, raccontato dalle parole della scrittrice

L'intervista di Monica Cardarelli a Susanna Tamaro

“E’ stata una vera e assoluta gioia scriverlo. Mi ha sorpreso ogni pagina, anche io ero travolta da questa storia, anche io non sapevo come sarebbe finito, come sarebbe andata… Per cui ogni giorno c’era questa gioia di scoprire questo mondo con Matteo e di emozionarmi con lui di quello che scoprivo… Io ero proprio così affascinata da questo meccanismo che si stava srotolando sotto ai miei occhi, nella mia testa, di cui io ero in qualche modo testimone… come un gioco che mi veniva mostrato di cui non conoscevo il meccanismo però lo facevo io… è stata una gioia”



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martedì, giugno 14, 2011

Quando Dio avrà paura

Il nostro Carlo Mafera ci racconta il Laboratorio Teatrale di Camilla Cufaro al Teatro Sette

La protagonista di questo spettacolo è la paura, e la sua storia durante i secoli fino ai giorni nostri, partendo persino dai primordi della preistoria. L'uomo e subito dopo la donna rigettano la responsabilità l'uno sull'altro. E' la paura che regola i loro atti e non la fiducia. Scaricando l'errore sull'altro, l'uomo, spinto dalla paura, vuole mantenere l'illusione della sua onnipotenza. Così diviene incapace di incontrare l'altro, di incontrare Dio. Il circolo vizioso del male continua. E Dio non può fare altro che costatare il disastro: "Sì, sarà col sudore della fronte, ma tu continuerai a gestire il mondo...
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venerdì, marzo 25, 2011

Malpensa: agenti obbligano indiano di fede Sikh a sfilarsi il turbante. E' polemica

L'uomo, un allenatore di golf, è stato costretto a sfilarsi il sacro copricapo sia all'arrivo che alla partenza dall'Italia: doppio incidente diplomatico.

PeaceReporter - L'ambasciatore italiano a New Delhi, Giacomo Sanfelice di Montefiore, ha incontrato una delegazione di legislatori indiani che gli hanno consegnato un memorandum sulle vicende dell'allenatore di golf, Amritinder Singh: lo sportivo, di fede Sikh, era stato obbligato a sfilarsi il turbante sia all'arrivo che alla partenza dall'aeroporto di Malpensa, per sottoporlo ai controlli di sicurezza. La parlamentare indiana Harisimrat Kaur Badal, a capo delle delegazione, ha spiegato come mai il gesto degli agenti aeroportuali sia stato vissuto da Singh come una vessazione:
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sabato, febbraio 05, 2011

Il Galileo di Paolini non fa solo scuola

"Un anno fa insieme ad alcuni amici e collaboratori abbiamo iniziato a leggere e scambiarci opinioni e domande su Galileo e Copernico e sul mondo in cui hanno vissuto.

Almanacco delle scienze - Da quei ragionamenti, da quelle letture non è nato un racconto compiuto, ma una serie di spunti da cui vale la pena di partire per continuare a cercare le domande giuste per interrogare il presente. Una fra tante: come mai quattrocento anni dopo Galileo continuiamo tutti i giorni a scrutar le stelle come fossero fisse per fare l'oroscopo, che cielo usiamo, quello di Copernico o quello di Tolomeo?". Con queste parole Marco Paolini introduce le considerazioni che lo hanno portato, insieme con Francesco Niccolini, a scrivere ‘Itis Galileo', nei prossimi giorni (dal 3 al 6 febbraio) in scena a Modena al Teatro Storchi e poi, fino al 9 maggio, in tournée in varie città italiane: da Piacenza a Ferrara, da Terni a Padova, da Venezia a Firenze, fino a Grottamare (AP). Il titolo del monologo è provocatorio: Itis sta per Istituto tecnico e vuole sottolineare che il ricordo del grande scienziato è affidato oggi troppo spesso solo all'intitolazione di tante scuole in Italia.
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mercoledì, gennaio 26, 2011

Mario Scaccia: un altro lutto nel mondo della cultura

Nella notte fra il venticinque ed il ventisei gennaio si è spento, al policlinico Gemelli, l’attore e regista Mario Scaccia. Per novantuno intensissimi anni di vita, l’attore romano si è dedicato anima e corpo al teatro ed al cinema, fornendo un contributo culturale decisamente notevole ad entrambi i mondi nei quali si è trovato a lavorare.

Newnotizie.it - Nel millenovecentoquarantotto Mario Scaccia si diplomò presso l’ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, alla quale si iscrisse subito dopo aver affrontato le tribolazioni della Seconda guerra mondiale. Tredici anni dopo il conseguimento del diploma, Mario Scaccia fondò, insieme a Valeria Moriconi, Franco Enriquez e Glauco Mauri, la Compagnia dei Quattro. Mario Scaccia ha calcato il palcoscenico teatrale rivestendo ruoli tutt’altro che secondari all’interno di opere decisamente importanti nello scenario culturale del Bel Paese.
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lunedì, agosto 16, 2010

San Francesco al Bruscello poliziano

della nostra redattrice Monica Cardarelli

Si è svolta dal 12 al 15 agosto la settantunesima edizione del Bruscello poliziano, sul sagrato della Cattedrale, nella splendida cornice di Piazza Grande a Montepulciano. Con il tema di quest’anno, “Francesco d'Assisi”, collocato da Dante in Paradiso, si è conclusa la trilogia sulla Divina Commedia, dopo “Ugolino della Gherardesca” del 2008, personaggio che Dante colloca all’Inferno, e “Pia de’ Tolomei” dello scorso anno, che troviamo in Purgatorio.
I libretti dei tre Bruscelli sono stati tutti scritti da Irene Tofanini, interprete anche di Santa Chiara, e musicati dal maestro Luciano Garosi; la direzione artistica, la regia e le scene sono invece di Franco Romani, che ha sapientemente utilizzato lo spazio di Piazza Grande.

“La discendenza storica del Bruscello può riferirsi alla sacra rappresentazione di Jacopone da Todi, oppure ai Madrigali di Corte, entrambe forme poetico-letterarie del XIII secolo, ma di ciò non esistono prove, perciò questa rimane un’ipotesi, seguendo la quale è ragionevole supporre che gli estrosi anonimi cantori del bruscello, non curandosi della metrica, unirono musica e versi, modificando così gli schemi ed i canoni”, spiega Mario Moranti (www.bruscello.it).

“Bruscello può sembrare ai neofiti parola astrusa ed oscura, tuttavia agli abitanti della Valdichiana e della Val d’Orcia suona familiare, perché è nata qui: sta per arboscello e deriva dal latino “arbor”, che vuol dire albero. Bruscello è quella forma di teatro popolare rappresentato per secoli da compagnie itineranti di contadini, che innalzavano un ramoscello e si spostavano di podere in podere, sulle piazze, negli incroci e davanti alle Chiese all’uscita della Santa Messa, col solo scopo della questua, per una cena di tutta la Compagnia. Bruscello è anche un momento in cui si compendiano tutte le forme tradizionali campagnole, infatti vi ritroviamo la Vecchia, la Befanata, il Maggio, il Mogliazzo, il Contrasto, gli Stornelli.”

Il genere del ‘Bruscello poliziano’ merita un posto tutto particolare nelle tradizioni contadine toscane, e della sua origine e storia si potrebbe parlare all’infinito. Ma la cosa che colpisce e che forse caratterizza più di tutte questa espressione artistica resta il fatto che gli interpreti del Bruscello, i ‘bruscellanti’ appunto, siano gli stessi abitanti di Montepulciano, dai bambini fino al parroco. Quest’anno poi, la preghiera finale di Francesco è stata scritta e letta con voce fuori campo dallo stesso Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Mons. Rodolfo Cetoloni, francescano.

Nel rispetto del canone di questa rappresentazione, gli orchestrali dell’Orchestra da Camera Poliziana per il Bruscello accompagnano i ‘bruscellanti’ con le loro musiche, mentre la fisarmonica annuncia e accompagna le introduzioni del ‘Cantastorie’ o dello ‘Storico’ che introducono ogni scena riassumendo brevemente quanto verrà subito dopo rappresentato.

La sinergia che si crea tra i ‘bruscellanti’, gli orchestrali, il pubblico e la magia del luogo (il Bruscello si svolge sul sagrato della Cattedrale) rendono la rappresentazione unica nel suo genere. Un’ulteriore particolarità è costituita dal fatto che i ‘bruscellanti’ non sono professionisti dello spettacolo, fermo restando la preparazione sia nel canto che nella recitazione da parte di tutta la Compagnia Popolare del Bruscello. Infatti, la semplicità e la spontaneità sono estremamente importanti per rappresentare la vita semplice e quotidiana. Se poi ci fermiamo a pensare al tema di questo Bruscello, San Francesco, ci rendiamo conto che mai come in questo caso era richiesta la massima semplicità, spontaneità ed essenzialità.

Sulla vita di Francesco sono state scritte e realizzate opere teatrali, musicali, pellicole per il cinema e per la televisione e non si finirà mai di rappresentare la sua vita con le più diverse forme espressive. Perchè la vita di un uomo come Francesco, prima della conversione e dopo con il suo innamoramento di Dio, non finiranno mai di stupirci. Come la figura di Chiara, il suo rapporto di amicizia con Francesco, i loro incontri per progettare insieme la fuga dalla casa paterna e la forza e la determinazione di entrambi nel seguire da soli ma con il sostegno della preghiera dell’altro una strada tutta nuova e personale: anche questo è per ogni uomo motivo di curiosità e interesse. Tuttavia, trasporre nelle varie forme espressive la vita di San Francesco non è certo cosa semplice, tante le sfaccettature della personalità e dell’anima di questo santo, molti e significativi gli eventi della sua vita che meritano attenzione. Certo è che il Bruscello rappresentato in queste sere ha rievocato in maniera semplice alcuni momenti della vita di Francesco, riuscendo a trasmettere tante piccole e grandi emozioni, momenti intensi nella loro semplicità. La cosa che forse sarebbe piaciuta anche a Francesco è il clima di ‘fraternità’ gioioso e giocoso, pur nella professionalità, che è stato riproposto sul sagrato della Cattedrale. Le gioie semplici, come le ha chiamate Francesco.

“Fratelli non abbiate paura, io resterò sempre accanto a voi e dove ci sarà dolore porteremo conforto e il mondo che costruiremo sarà un mondo di pace. Lasciate adesso che cessi il pianto, aprite i cuori alla letizia! L’amore divino, l’eterna speranza guidino sempre i vostri passi. Seguite sempre la voce esultante che canta la gloria del nostro Signor.” (Mons. Rodolfo Cetoloni)
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mercoledì, giugno 30, 2010

Avamposto Calabria

Viaggio nella terra dei giornalisti "infami". Un proiettile calibro 12 che arriva in redazione, un segnale inequivocabile in Calabria, che segna un confine fra il tuo lavoro e la tua vita.

Liberainformazione - A raccontare questa ed altre storie “Avamposto, nella Calabria dei giornalisti infami', un libro che raccoglie sedici storie di giornalisti minacciati dalla 'ndrangheta. Non sono eroi, né temerari, sono persone comuni, giornalisti testardi – spesso precari – che si ostinano a fare solo il proprio lavoro. Si chiamano Michele Inserra, Giuseppe Baldessarro, Filippo Cutrupi, Antonino Monteleone, Francesco Mobilio, Alessandro Bozzo, Fabio Pistoia, Agostino Pantano, Agostino D'Urso, Leonardo Rizzo, Giuseppe Baglivo, Antonio Anastasi, Lino Fresca, i cronisti nel mirino. Vite blindate, violate, quelle dei giornalisti minacciati, e delle loro famiglie. Tutto intorno l'aria si fa pesante, e da vittima, talvolta diventi anche colpevole. La tua colpa è quella di essere “'mpamu”, sbirro, così racconta la figlia di uno dei giornalisti minacciati. L'ha saputo a scuola, perchè così i compagni erano soliti chiamare il padre – giornalista.

I due autori di "Avamposto" i giornalisti Roberta Mani e Roberto Rossi, descrivono una realtà che da lontano – come di chiara la Mani - “non pensavamo fosse così pesante”. “Numeri incredibili consegnano alla Calabria il primato negativo del bavaglio a forma di pistola – dichiarano gli autori -. “Una Calabria così vicina – commenta la Mani – eppure così lontana da noi, dal quotidiano, da quello che nel resto del Paese si riesce a sapere”. Diversi gli episodi, le inchieste, gli articoli, i fatti narrati dai giornalisti, spesso legate ad equilibri delicati dell'ala militare sul territorio, altre legate agli affari delle 'ndrine, altri ancora collegati al livello politico delle rappresentanze locali ed elettorali. Ad accomunarli però e' la sindrome della trasgressione di una regola non scritta, ma nota a tutti: che certe cose i giornalisti devono fingere di non vederle e che non siano notizie di interesse pubblico. Di questo attacco al sistema democratico, all'articolo 21 della Costituzione, alla libertà d 'impresa e alla libera espressione del voto, abbiamo parlato con i due giornalisti “inviati” in quello che hanno chiamato l'”Avamposto”, perchè – come dichiarano “è metafora, nemmeno troppo immaginaria, della guerra di posizione. Con alcuni giornalisti, alcuni magistrati, alcuni politici, poca società civile a mantenere alta la guardia attorno alle poche isolate torrette di legalità”.

Un giornalista siciliano e una collega milanese, autori del primo libro che racconta dell'informazione “a rischio” in Calabria. Perché avete scelto questa terra?

Ci siamo ritrovati in Calabria sulla scia di un dato sconcertante. Dall'inizio dell'anno più otto giornalisti sono stati minacciati dalle mafie. Quando abbiamo redatto il rapporto 2010 sui cronisti minacciati nell'ultimo anno, quello per l'0sservatorio “Ossigeno” promosso da Fnsi e Ordine dei giornalisti, abbiamo constatato che era molto alto il numero dei condizionamenti e delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti. Così ci siamo recati in Calabria con l'obiettivo di realizzare un documentario, poi ci siamo resi conto che queste storie, avevano dietro un contesto complesso ma estremamente importante, e che andavano raccontate in un libro. Abbiamo scelto di farlo, dunque, non solo per mettere insieme le loro storie, ma per approfondire, per spiegare, i contesti in cui tutto questo si è verificato.

Avamposto è anche un affresco della Calabria degli ultimi anni. Come lavora il mondo dell'informazione in questa terra?

La prima cosa che scopri non appena hai messo piede in Calabria, è che da lontano non hai la dimensione profonda di quello che accade. Io sono un giornalista catanese, conosco bene la realtà siciliana, Roberta Mani è una giornalista del nord, ma lo stupore di scoprire una realtà cosi dura e difficile, è stata simile. La situazione in cui lavorano i colleghi calabresi è molto calda. Molto fisica, le mafie li, le senti sulla pelle. Mentre in altre regioni, parimenti soffocate dal fenomeno mafioso, spesso le intimidazioni arrivano spesso sotto forma di querele, di segnali e minacce, in Calabria i gesti sono ancora più espliciti, ancora più vicini ai giornalisti. Questa è una realtà che non pensavamo di trovare.

A cosa è dovuta questa differenza che assegna alla Calabria la maglia nera fra le regioni “governate” dalla criminalità organizzata?

La differenza è dovuta in parte al panorama informativo che si è sviluppato negli ultimi anni in Calabria. Dopo anni di stallo, oggi in Calabria esistono editori che si prendono la responsabilità di far scrivere certe cose, cosa che, ad esempio, in Sicilia non c’è. Il panorama dinamico e rinnovato ha alimentano una naturale competizione su tutto il territorio. I tre giornali regionali, Gazzetta del Sud, Quotidiano della Calabria, e Calabria Ora, non si dividono aree geografiche, al contrario, da Gioia Tauro a Cosenza, da Catanzaro a Reggio Calabria, si contendono i lettori e le notizie, facendo anche inchiesta. In questa direzione va letto, il numero dei giornalisti minacciati nel panorama dell'informazione calabrese. Nonostante questi dati, però, è la pervasività e la pericolosità della 'ndrangheta a dare quella condizione di "emergenza" permanente alla situazione di pericolo in cui si vive, facendo informazione (e non solo) in Calabria.

Tanti i giornalisti raccontati nel vostro “Avamposto”, quale caso ti ha colpito di più?

Sono tutte storie difficili, ma se dovessi dirne uno, direi sicuramente la storia del giornalista Michele Inserra, giornalista Quotidiano della Calabria, due intimidazioni in poco tempo. La prima giunse per aver rivelato particolari non noti ai grandi inviati “mordi e fuggi”, sul falso identikit del boss Nirta. Contro di lui c'è in atto un coprifuoco personale che lo tiene a distanza da San luca, gli hanno proprio detto “se entri a San Luca ti finisce male”. La seconda per aver raccontato di Siderno e del territorio in cui da molti anni dominano i Commiso. I boss gli hanno spedito un proiettile calibro 12, lo stesso che uccise il giovane Congiusta, ribellatosi al pagamento del pizzo a Siderno. Il calibro 12 è la firma per gli omicidi di 'ndrangheta, per dire sei un infame, “parli troppo”. Poi ancora la voce tremante di Michele Albanese, mentre leggeva la lettera ricevuta da un boss della piana, di Rosarno. La lettera che ha toni apparentemente cordiali e moderati, è arrivata dal carcere dove il boss è rinchiuso. Michele ha solo trent'anni ma sa benissimo che di sereno in quella lettera non c'è nulla. Quello è uno dei peggiori avvertimenti in pieno stile mafioso. Ho ancora la sua immagine stampata nella memoria, mentre legge, consapevole, quelle righe a noi che siamo andati ad incontrarlo per raccontare la sua storia.

Michele Inserra, Giuseppe Baldessarro, Filippo Cutrupi, Antonino Monteleone, Francesco Mobilio, Alessandro Bozzo, Fabio Pistoia, Agostino Pantano, Agostino D'Urso, Leonardo Rizzo, Giuseppe Baglivo, Antonio Anastasi, Lino Fresca. Questi i loro nomi. Sanno di essere un unico caso Calabria?

Molti di loro si conoscevano, ma non conoscevano le loro storie. Altri invece non si conoscevano, ma anche loro si sono impressionati di un numero cosi alto. Quello di intrecciare le loro vicende in un unico caso nazionale che riguarda la situazione in Calabria, è ancora, a mio avviso, un percorso da costruire. Questo è anche uno degli obiettivi che con questo libro si vuole raggiungere.

Qual è l'atteggiamento della società civile calabrese, e della politica, rispetto alla realtà in cui opera l'informazione locale?

Questo è uno dei problemi calabresi. C’è una società che in alcune aree è stata creata ad immagine e somiglianza della 'ndrangheta, fondandola sul bisogno e sui diritti chiesti come favori. Finché non sarà lo Stato a riprendersi lo spazio che è suo, ripristinando la democrazia, la 'ndrangheta sarà vincente. La società civile, ovviamente non tutta, stenta a prendere coscienza di questa realtà e anche di quella in cui vive l'informazione. Dall’altro lato la stessa politica non indica la strada da seguire alla società civile. Un esempio su tutti è la mancata costituzione di parte civile nell’omicidio di Gianluca Congiusta del Comune di Siderno. Sono già costituiti parte civile, la Provincia e la Regione. L' avvocato del boss che è accusato dell'omicidio del giovane che si era opposto al pizzo, ricopre anche il ruolo di consulente comunale.

Un potere radicato che sembra arrivare prima e meglio dello Stato nel territorio?

La’ ndrangheta comanda da 150 anni in Calabria. E', come dire, un potere aristocratico. I sindaci cambiano, i poliziotti cambiano, i magistrati anche, ma loro sono sempre li, da oltre cent'anni. Tutti sanno chi sono i Piromalli, i Molè, tutti conoscono i loro volti. Inoltre da quando l'ingresso ne la “Santa” ha modificato i codici 'ndranghetistici, i boss possono sedere negli stessi salotti di stimati professionisti, di politici, di magistrati. Un dato che ci ha stupito ad esempio, leggendo le ordinanze di custodia cautelare di alcune inchieste in Calabria, è che la rivelazione di intercettazioni, la fuga di notizie, è responsabile della morte o dell'insabbiamento di molte inchieste, in qualche modo quindi affossate negli stessi palazzi in cui nascono.

E’ un sistema che protegge gli ‘ndranghetisti anche fuori dalla Calabria?

Le 'ndrine sul piano internazionale hanno credibilità assoluta, perché silenziose, blindate, come dire, sicure. Questa potenza enorme li porta a dialogare con imprese del nord, e del resto del mondo. Ma è sulla Calabria che rimane prioritario il controllo, diciamo “morboso e ossessivo” con il territorio nonostante i suoi interessi enormi nel resto del mondo.
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mercoledì, giugno 23, 2010

Vittorio Gassman, 10 anni dopo la morte

Sono passati 10 anni dalla morte di Vittorio Gassman, il 29 giugno 2000, "ma a me sembrano molti di meno", racconta in esclusiva all'ANSA Alessandro Gassman.

di Alessandra Magliaro

Ansa.it
- Terzogenito, dopo Paola e Vittoria e prima di Jacopo che ora fa il regista, con il passare del tempo sente di "assomigliargli sempre di più, in tante cose del lavoro e del privato. Mi fa piacere anche quando mi dicono che sembro lui fisicamente". - L'Italia, 10 anni dopo, ha la memoria corta su Vittorio Gassman? "In genere questo paese ce l'ha su questi anniversari ma mio padre in tanti se lo ricordano, e questo è toccante e come figlio mi inorgoglisce, mi dà la sensazione di quanto lui, come altri della sua generazione, abbiano costruito con il cinema e il teatro il tessuto culturale italiano del dopoguerra, quello stesso oggi così degradato. Mi arrivano lettere dall'estero, intitolano a lui strade, teatri, premi. La Mostra di Venezia, il 1 settembre che era anche il giorno del suo compleanno, aprirà con evViva Gassman, un documentario cui si sta dedicando Giancarlo Scarchilli, e di cui io sono una sorta di cicerone: si andrà alla scoperta di mio padre e ci saranno 40 persone da Jean Louis Trintignant a Mario Monicelli, da Paolo Virzì a Carlo Verdone a ricordarlo. Sempre a Venezia a Campo san Polo proietteranno Profumo di donna restaurato e al Festival di Roma ci sarà una gigantografia per lui". - Come Sordi o altri grandi personaggi è stato vittima di luoghi comuni, la sua classicità ad esempio era così vera? "Falso, a teatro fu un grande innovatore. Con il teatro popolare puntò al decentramento nelle periferie e fece il primo teatro tenda in Italia, rimettendoci di suo pure un sacco di soldi". - Cosa avrebbe pensato di tutti questi omaggi? "Un po' mi fanno sorridere: specie negli ultimi tempi scherzando mi diceva, non ricordatevi di me in maniera funebre, ma evViva Gassman farà commuovere ma anche molto ridere". - Ad Alessandro Gassman, che aveva 35 anni alla morte del padre, capita di pensarci? "Spesso. Sono uguale a lui sul lavoro, uno stakanovista. Vittorio oltre che padre è stato anche il mio maestro, mi viene naturale rivolgermi a lui, pensare a come si sarebbe comportato". - Avrebbe manifestato contro i tagli alla cultura nella manovra finanziaria? "Non era nelle sue corde, ma certo si sarebbe indignato e come sempre, anzi a maggior ragione oggi che avrebbe avuto 88 anni, avrebbe detto quello che pensava senza peli sulla lingua, esattamente come fa Mario Monicelli. Anzi a pensarci sono contento che non debba assistere oltre che ai tagli alla situazione di degrado culturale, alla distruzione della lingua italiana, alla confusione di un mestiere in cui basta un reality tv per farti andare avanti. Oggi si sarebbe rintanato in teatro, non come rifugio, ma come passione fortissima e come libertà totale come ha sempre fatto. Oggi sono convinto che potendo, quello sarebbe stato il mio posto e mi fa piacere avere ereditato da lui questa grande passione per il teatro - dice Alessandro che è anche direttore del teatro stabile del Veneto - oltre ad un grande senso della disciplina e un enorme rispetto per il lavoro". - Il figlio di Vittorio Gassman che padre è a sua volta? "Maturo. Leo ha oggi 11 anni e mi rendo conto che anche qui l'impronta di mio padre si fa sentire. Io sono cresciuto nell'amore sì ma anche nel rigore, dico spesso più addestrato che allevato. Ho avuto un padre ferreo, classico, all'antica e in fondo mi sento un po' così anche io e penso pure che questo paese avrebbe necessità di più padri così perché di maleducazione in giro ce ne è troppa e a me indigna".
... (continua)
giovedì, giugno 03, 2010

Il teatro? Può rendere più affascinante la scienza

Intervista all'attore Umberto Orsini, impegnato nella rappresentazione di un'opera teatrale il cui testo racconta l'incontro tra i due fisici Niels Bohr e Werner Heisenberg nella Danimarca occupata dai nazisti.

Almanacco della Scienza - CNR - Umberto Orsini, uno dei maggiori attori teatrali italiani, si forma all'Accademia d'arte drammatica di Roma e debutta nel 1957 nel ‘Diario di Anna Frank' diretto da Giorgio De Lullo. Lavora poi ne ‘L'Arialda' di Giovanni Testori con la regia di Luchino Visconti, con Franco Zeffirelli in ‘Chi ha paura di Virginia Woolf' e con Patroni Griffi in ‘Metti una sera a cena'. Negli anni '80 è diretto da Gabriele Lavia in ‘Servo di scena' di Ronald Harwood, ‘I Masnadieri' di Friedrich Schiller e ‘Non si sa come' di Luigi Pirandello, con Luca Ronconi ne ‘Le tre sorelle' di Anton Cechov e ‘Besucher' di Botho Strauss, che gli valgono nel 1989 il Premio Ubu come migliore attore. In seguito è protagonista con Patroni Griffi in ‘Un marito' di Svevo e Lavia nell''Otello', ne ‘L'arte della commedia' di Eduardo per la regia di Luca De Filippo e ‘Il nipote di Wittgenstein' di Thomas Bernhard diretto da Patrick Guinand, per il quale guadagna di nuovo il Premio Ubu.

Notevole anche la sua filmografia: da Federico Fellini con ‘La dolce vita' a Luchino Visconti in ‘La caduta degli dei', da Enrico Maria Salerno in ‘Il delitto Matteotti' a Marco Tullio Giordana con ‘Pasolini, un delitto italiano'.

Lo abbiamo incontrato a Roma mentre era impegnato in ‘Copenaghen' di Michael Frayn, per la regia di Mauro Avogadro, un testo che racconta dell'incontro tra i due fisici Niels Bohr e Werner Heisenberg nella Danimarca occupata dai nazisti.

Sul piano artistico, cosa comporta interpretare un Premio Nobel per la Fisica, dedito a temi come la meccanica quantistica?

L'attore entra nella mente del personaggio e comincia a capire: questo è il mio approccio. In Copenaghen interpreto un testo che descrive la passione dei due scienziati per il loro lavoro. È questa passione che riesce a catturare l'attenzione del pubblico, anche se la gran parte non sa nulla di fissione nucleare, di uranio 235 o plutonio 239.

Condivide la visione di Bohr secondo cui dovremmo rinunciare a capire, a porci domande, poiché conta soltanto ciò che possiamo misurare o osservare?

Di Bohr condivido il principio della complementarietà, secondo cui i fenomeni hanno un duplice aspetto. Tutti gli uomini sono differenti e non esiste un universo oggettivo perfettamente determinato.

Il testo di Frayn si fonda su un incontro realmente accaduto alla vigilia della scoperta della bomba atomica. Lei che rapporto ha con la ricerca scientifica?

La ritengo una prospettiva utile. Che diventi una minaccia non dipende dalla scoperta scientifica in sé, ma dall'uomo, da come essa viene utilizzata. La realtà non si può fermare, la conoscenza è ineludibile. Pensi, ad esempio, all'utilità delle conoscenze per la previsione dei disastri naturali. Certo, la scienza ha una responsabilità, deve avere un codice, un'etica, ma spetta all'uomo farne buon uso.

Pensa che il teatro possa assolvere anche a una funzione divulgativa anche rispetto alla cultura scientifica?

Sì, in alcuni casi, ma non può salire in cattedra o sostituire una lezione di fisica. L'obiettivo della pièce, come dicevo, è far emergere il carattere, la passione dei personaggi. I ragazzi vanno a vedere a teatro ‘Galileo' di Brecht perché in quelle tre ore di rappresentazione capiscono, della personalità dello scienziato, molto più che sui banchi di scuola. E tutto diventa più affascinante. Penso che il teatro abbia questa funzione: è lo specchio della vita, nelle sue innumerevoli visioni, ma non la sua fotocopia, altrimenti non sarebbe interessante.

Lei segue l'informazione e la divulgazione scientifica? Come giudica quella trattata dai mezzi di comunicazione?

La seguo abbastanza. Molto dipende dalla bravura e dal fascino di chi la tratta. Ci sono trasmissioni come ‘Quark' che hanno squarciato il diaframma tra ‘chi sa' e ‘chi non sa'. L'importante è che chi conosce sappia trasmettere agli altri il proprio sapere. Come diceva Bohr, la scienza non è una cosa che si fa per noi stessi, non a caso, nonostante il suo aplomb da studioso, era un divulgatore, una persona che suscitava dibattiti e confronti. La sua in qualche modo era una scuola socratica.

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giovedì, maggio 13, 2010

Fiera di Torino: Ernesto Olivero presenta il suo nuovo libro edito dalla Lev

Quattro padiglioni, 51.000 metri quadri di superficie, 27 sale convegni, più di 1.400 editori. Sono alcuni dei numeri che caratterizzano la 23.ma edizione del Salone internazionale del libro che si apre oggi a Torino.

Radio Vaticana - Il motivo conduttore di quest’anno è la memoria, supportata da archivi informatici sempre più sofisticati ma segnata da un rapporto, spesso distratto, dell’uomo con il passato. In questa edizione interverrà anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che domani terrà una riflessione sul tema “Segni della memoria e sfida educativa”. Numerose le novità librarie. Oggi, in particolare, viene presentato il libro “Pace” di Ernesto Olivero ed edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Sull’itinerario tracciato in questo volume si sofferma lo stesso autore, fondatore del Servizio missionario giovani (Sermig), intervistato da Amedeo Lomonaco (ascolta):

R. – E’ l’itinerario della mia vita che si è spostata a Baghdad, poi improvvisamente sotto le bombe di Beirut, in un carcere, improvvisamente con un volto davanti che ti chiedeva di cambiare vita … Io ho accettato questi incontri e, spontaneamente, ho annotato nel mio diario le sensazioni … Quindi è un itinerario di fatti concreti e con Dio nel cuore le risposte si hanno sempre.


D. – Come si costruisce oggi la pace, anche in Paesi segnati da sanguinosi conflitti?



R. – La pace deve passare attraverso il dialogo. Ma questo non deve avanzare come è stato fatto finora. Attualmente il dialogo lo guida il più forte e colui che è più debole accetta le decisioni prese. Poi però non cambia niente! Promuovere il dialogo significa invece sedersi intorno ad un tavolo, vedere con occhi diversi e sentire con orecchie diverse. Non è poesia questa ma pragmatismo!


D. – La 23.ma edizione del Salone internazionale del libro è dedicata quest’anno al tema della memoria. Quali sono i principali insegnamenti della storia recente per tradurre i valori della pace nel mondo contemporaneo?


R. – La storia ci può insegnare tante cose, ma ha pochi allievi. A me piacerebbe che chi legge questo libro possa diventare allievo, perché la storia ci può insegnare molto. Chi impara dalla storia è anche un uomo nuovo.



D. - Anche perché la memoria, se fondata sulla verità e su un’autentica conoscenza storica, diventa alleata della pace …



R. – Certo, la verità rende liberi, la verità è alleata della pace e della giustizia …

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mercoledì, aprile 28, 2010

Controluce: Ritorno da Gomorra

Il viaggio nelle terre di Don Diana: uno spettacolo per ricordare l'esperienza. Un viaggio nelle terre di don Peppe Diana che lascia il segno. Un viaggio, un’esperienza che un gruppo di giovani di Sesto Fiorentino ha deciso di portare in scena nello spettacolo «Controluce: Ritorno da Gomorra».

Liberainformazione - La pièce, - un docu-spettacolo della durata di circa un’ora costituito da filmati, momenti recitativi, musiche e tecniche espressive – è nata dalla “volontà di fare qualcosa” del gruppo parrocchiale di San Martino a Sesto composto da venticinque ragazzi ed otto educatori, con alla testa il parroco don Daniele Bani, che nell’ambito del Progetto legalità patrocinato dalla Regione Toscana ha trascorso, la scorsa estate, dal 26 luglio al 1 agosto una settimana di lavoro a CastelVolturno presso il bene confiscato alla camorra ed affidato alla costituenda cooperativa “le Terre di don Peppe Diana“.

«Abbiamo voluto riportare nel nostro territorio - spiega Fausto De Santis di Libera Toscana - la realtà che lì abbiamo incontrato. Si è voluti essere testimoni di ciò che accade in un pezzo d’Italia, ma che ha la sua genesi in scelte fatte altrove e che coinvolge tutto il territorio nazionale e non solo».

La prima dello spettacolo è andata in scena lo scorso 29 novembre a Sesto Fiorentino per un totale di tre repliche. Una nuova rappresentazione è stata allestita domenica 10 gennaio a Santomato in provincia di Pistoia. La data di stasera, 26 aprile 2010, prevede la rappresentazione al Teatro di San Martino in Piazza della Chiesa nuovamente a Sesto Fiorentino. In questo spettacolo c'è da segnalare come ospite d'onore il cantautore Luca Caiazzo in arte Lucariello autore del brano "Cappotto di legno" cantato anche nella piece e autore di una ballata "Per amore del mio popolo" proprio in onore di don Peppe Diana.

«Don Peppe Diana - racconta Lucariello - era una persona che per amore della sua gente ha messo a rischio la sua stessa vita. Una cosa straordinaria che un po’ manca alla nostra generazione. Chi direbbe, oggi, che per l’amore che sente per la sua gente non può stare zitto, per l’amore che sente per il suo popolo deve gridare e facendo questo mette a rischio la propria vita?»

In occasione di ogni spettacolo vengono raccolte offerte che saranno devolute alla nascente cooperativa “Le Terre di don Peppe Diana” a dimostrazione, ancora una volta, della vicinanza tra la Toscana e le terre di don Diana per affermare sempre più il principio della legalità e dell’attivismo contro tutte le mafie.

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lunedì, aprile 12, 2010

«L'enigma del volto di Gesù» un libro di Saverio Gaeta

La leggenda del velo della Veronica. È quasi un thriller la storia avventurosa del 'Santo Volto' di Gesù con intrighi, colpi di scena e persino depistaggi.

Fraticappuccini.it - Oggi a ben oltre 400 anni dal devastante Sacco di Roma del 5 maggio 1527, che costrinse Papa Clemente VII ad asserragliarsi a Castel Sant'Angelo e poi a scappare ad Orvieto mentre la capitale dello Stato della Chiesa subiva l'oltraggio dell'invasione di lanzichenecchi tedeschi e mercenari spagnoli e tra le reliquie più preziose veniva trafugato il 'velo'della Veronica che secondo la leggenda aveva impresso il volto sofferente di Gesù sulla croce, quella storia si può rileggere ancora nel libro «L'enigma del volto di Gesù» (Rizzoli, pp. 266, euro 18,50). E, secondo l'autore - Saverio Gaeta, appassionato studioso di storie religiose - può anche trovare l'epilogo, rilanciandone l'importanza storica e spirituale di quella che definisce la Sindone segreta.

Nei giorni dopo la Pasqua e dopo l'Ostensione della Sacra Sindone a Torino, il Volto di Gesù, custodito in un monastero a Manoppello nel cuore dell'Abruzzo ritorna d'attualità.

L'aspetto più intrigante del Volto Santo è che, sovrapponendo il velo in formato reale alla Sindone di Torino ne risulta una perfetta compatibilità.
Ne sono convinti vari studiosi e naturalmente Gaeta che ha messo le due immagini sovrapposte in copertina, aumentandone la suggestione.

L'esercito dei sindonologi,come li chiama lui, trascurano di interrogarsi sul velo di Manoppello perché disturberebbe le apparentemente consolidate acquisizioni attorno ai teli funerari di Gesù, mentre gli scettici per professione escludono ogni verità intorno alla leggenda della Veronica, non ammettendo l'irruzione del soprannaturale nella storia umana.

Di certo ci sono i nuovi studi e di certo c'è una devozione popolare antichissima, raffigurata ad esempio dal Ghirlandaio nel 1505 in un dipinto sulla 'Salita al Calvario', conservato alla National Gallery di Londra e da Ugo da Carpi in una 'Santa Veronica mostra il sudario del Santo Volto affiancata dagli apostoli Pietro e Paolo', oggi custodito nella Fabbrica di San Pietro, e poi affreschi del IV secolo, miniature, mosaici come quello nella basilica di Santa Prudenziana a Roma, tutti ispirati a questo misterioso 'prototipo.

È stato affascinante, scrive Gaeta, scoprire via via ulteriori dati che mostrano nuove e plausibili ipotesi su come nel 705 il Volto Santo abbia raggiunto Roma da Gerusalemme e su chi sia stato a trasportarlo dopo la metà del Cinquecento a Manoppello, sui luoghi in cui è stato custodito a Roma nel Medioevo e sul furto durante il Sacco del 1527.

Un puzzle storico cui si aggiungono i contributi di diversi studiosi e tecnici che hanno consentito di incrementare la convinzione dell'inspiegabilità scientifica del velo e dell'immagine che vi è impressa, un volto vivo e dinamico, emozionante se si guarda con gli occhi della Fede.

Dopo il Sacco e proprio per l'enorme devozione popolare della Veronica, la Chiesa con papa Paolo V e il successore Urbano VIII mise in piedi una gigantesca opera di disinformazione, negando il furto, facendo sostituire il Velo trafugato con una copia affinché la fede e l'arrivo dei pellegrini (con le loro donazioni indispensabili per la costruzione della nuova basilica vaticana) non ne fossero compromessi.

Papa Benedetto XVI è stato il primo papa a recarsi in pellegrinaggio nel santuario di Manoppello il 1 settembre 2006. Il volto di Gesù da vivo, impresso nel velo della Veronica che piangendo lo accompagnava nella salita del Calvario è lì nel monastero dei Cappuccini dal 1646 ad emozionare i fedeli che la ritengono tra le più preziose reliquie della cristianità.

Alessandra Magliaro

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