mercoledì, febbraio 22, 2017
Quella umanitaria in Ucraina è una emergenza, “nel cuore” del continente europeo, “che non può e non deve restare invisibile”.

Radio Vaticana - Quando il conflitto nelle regioni orientali del Paese tra governativi e separatisti filorussi sta entrando nel suo quarto anno, con un bilancio ufficiale di almeno 10 mila morti, l’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, a nome della Chiesa greco-cattolica ucraina lancia un appello alla comunità internazionale per fermare le violenze. Sul terreno infatti non pare rispettata la tregua scattata ad inizio settimana e l’Osce denuncia come non vengano osservate le intese sul ritiro delle armi pesanti, previste dagli accordi di Minsk.

Ascoltiamo Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, in questi giorni a Roma, intervistato da Giada Aquilino: ascolta

R. – Nelle ultime ore abbiamo ricevuto notizie di scontri che continuano. La tregua che è stata annunciata lunedì scorso non funziona. Questo scontro militare va avanti già da tre anni: le armi pesanti continuano ad entrare in territorio ucraino e ciò provoca davvero gravi sofferenze per la popolazione.

D. – Quali sono i casi più urgenti?

R. – Ci sono tre gruppi di persone che devono essere al centro dell’attenzione della comunità internazionale. Anzitutto, le persone che sono rimaste intrappolate nella cosiddetta “zona grigia”: noi chiamiamo così quella zona al confine con la linea di divisione tra il territorio occupato e quello controllato dal governo ucraino, dove le persone vivono già da tre anni sotto bombardamenti costanti. Si tratta di quasi 200 mila persone: soprattutto anziani e madri con bambini piccoli. Queste persone non possono andare via, non sanno dove andare! Secondo le statistiche ufficiali dell’Unicef, in questa “zona grigia” vivono 12 mila bambini. Molti casi che abbiamo verificato ci indicano che tanti di questi bambini sono stati feriti non soltanto fisicamente ma anche psicologicamente: ci sono bambini che dopo un bombardamento non parlano più, perdono il dono della parola. Noi, in quanto Chiesa, facciamo di tutto per arrivare a questa gente. Gli organismi statali non arrivano: soltanto le comunità religiose, che sono motivate dall’amore per Dio e per il prossimo, hanno la forza interiore di voler raggiungere queste persone. Adesso, con l’azione umanitaria avviata dal Santo Padre, che in Ucraina è conosciuta come “Il Papa per l’Ucraina”, gli agenti pastorali hanno anche i mezzi per comprare cibo, medicine, le cose più necessarie alla sopravvivenza di queste persone.

D. – Lei ha fatto cenno a tre categorie a rischio…

R. – La seconda categoria riguarda le persone rimaste intrappolate nel territorio occupato: lì gli aiuti internazionali non arrivano. L’unico modo che la nostra Chiesa ha di portare qualche aiuto in quella zona, è rappresentato dai nostri sacerdoti che sono rimasti lì, tra la gente. Loro spesso tornano nel territorio controllato dal governo ucraino, riempiono le loro macchine con generi di prima necessità e li portano a questa gente. Lì, si soffre la fame. La terza categoria poi è rappresentata dagli sfollati, che sia dalla zona occupata, sia anche dalla “zona grigia” sono affluiti nella parte centro-occidentale del territorio ucraino. Ufficialmente, adesso sono un milione e 700 mila persone, ma la cifra reale è molto più alta: si calcola siano oltre due milioni. Nella nostra Chiesa ucraina greco-cattolica, abbiamo la struttura della Caritas nazionale che è quasi l’unico “strumento” che va in cerca di questa gente, per portare aiuti.

D. – C’è stato un nuovo appello dell’Unicef: un milione di bambini ha urgente bisogno di aiuto umanitario nell’est dell’Ucraina. Qual è la situazione e qual è il suo appello?

R. – Le statistiche ufficiali dell’Unicef ci hanno colpito. Sapevamo che il numero fosse alto, ma sotto alcuni aspetti ha superato le nostre preoccupazioni. La sofferenza di un milione di bambini è la sofferenza degli innocenti. Per questo, mi sono sentito in dovere di fare un appello alla comunità internazionale, per fare di tutto affinché cessi il fuoco: è condizione indispensabile per frenare questa violenza. La Chiesa dà voce a chi è senza voce: è veramente impressionante vedere come vivano i bambini, come possano studiare, in scuole quasi distrutte. Inoltre 19 mila bambini di questa zona sono in costante pericolo a causa degli oggetti esplosivi e mine sparsi sul territorio. In ogni aula c’è un cartello che spiega ai piccoli di non toccare oggetti sconosciuti, ma ciò nonostante ogni giorno un bambino rimane ferito. I gruppi paramilitari lasciano sul terreno giocattoli pieni di esplosivo: e a prendere questi giocattoli non sono i soldati, ma purtroppo i bambini.

D. – Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che continueranno a chiedere il rispetto degli accordi di Minsk da parte della Russia. E’ cambiato qualcosa con la nuova amministrazione Trump?

R. – Non è cambiato niente. Tutti questi accordi – di Minsk o anche altri – sul territorio purtroppo non funzionano. Noi sappiamo che non c’è una soluzione militare del conflitto in Ucraina; perciò, nel mio appello chiedo che la comunità internazionale continui gli sforzi diplomatici per far cessare il fuoco.

D. – Ha citato gli aiuti inviati da Papa Francesco personalmente, con la Colletta per l’Ucraina. Lei informa il Papa costantemente della situazione in Ucraina?

R. – Cerchiamo di far arrivare al Santo Padre le notizie, ma devo dire che il Pontefice è molto ben informato: il nunzio apostolico visita continuamente queste zone. E quando incontro il Papa gli racconto storie umane, storie di persone concrete. Un altro messaggio che ho riportato al Santo Padre è che il popolo ucraino aspetta la visita del Papa, perché crede così spontaneamente – non soltanto i cattolici ma anche i non credenti – che la visita di Francesco farà finire la guerra. Noi abbiamo presentato l’invito, come pure il Sinodo dei Vescovi greco-cattolici, la Conferenza episcopale dei vescovi latini, il presidente ucraino. Ovviamente, la decisione – che rispettiamo – sarà presa dal Santo Padre.


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